
Innanzitutto è bene sottolineare che per arrivare al suicidio significa che la persona è passata dalla rinuncia parziale, ad una rinuncia totale, fino alla rassegnazione. Questo stato dell’essere dà dei segnali evidenti. C’è da considerare che ci sono persone che hanno una modalità depressiva che si esprime dopo anni di lamentela, tristezza, astenia, perdita di interesse, credenze tipo “tanto è così e nulla cambia”, si sentono vittime del destino, alcune vittime del loro bagaglio genetico e questo perpetua l’escalation verso la rinuncia totale. La depressione nasce da una credenza che si è instaurata nel corso della vita e quando questa si frantuma, la persona è incapace di ricostruirla e diventa vittima del destino. Un esempio diffuso, la persona che investe la sua esistenza a credere “se mi comporto in questo modo, se soddisfo i bisogni di mia moglie e i miei figli (annullandomi) loro rimarranno con me tutta la vita e non rimarrò più solo”. In questo modo ci si cristallizza nel ruolo del buon padre/madre marito/madre, si è felici finchè non accade qualcosa di esterno, come un tradimento, che rompe l’ illusione. Dalla confusione, alla rabbia, alla tristezza si passa alla depressione. La persona ha visto la sua credenza frantumarsi e non è più in grado di ricostruirla, quindi rinuncia. Rinuncia a vivere! Entra in un ruolo di vittima, perchè ha subito la realtà in modo impotente. La mancanza di tensione, l’impotenza, il senso di vuoto diventano dominanti, si fa fatica a vivere.
Come reagire quando l’anima è divorata dal vuoto?
Si può reagire facendosi aiutare da qualcuno di esterno. Scoprendo quante risorse ci sono dentro di noi, che in parte sono conosciute perché le abbiamo già utilizzate in passato, altre sono in embrione, non pensiamo di essere delle persone così illimitate. Dobbiamo creare pensieri potenzianti, credenze antagoniste che ci permettono di risolvere il problema. Ed il problema si risolve da un altro punto di vista, non rimanendo nella stessa credenza poichè in questo modo si sceglie la rinuncia. Possiamo scegliere pensieri che ci aprono a nuove opportunità, e un pensiero ripetuto porta all’azione e all’instaurarsi di un comportamento. E’ un’esperienza quotidiana. Ci si dimentica naturalmente la scelta iniziale, si scoprono nuove potenzialità, si espande la visione limitante di se stessi e si crea una vita soddisfacente!
Quanto è cambiata l’amicizia nell’epoca degli smartphone? Quanto ancora conta la connessione umana?
La vita è cambiata, fino a pochi anni fa si viveva in comunità, nei borghi, nei condomini con le porte aperte, nei cortili di casa. L’essere umano ha necessità di vivere nel sociale, i social network sono un surrogato della condivisione che esisteva prima. Va utilizzato come valore aggiuntivo, non come sostitutivo. La comunicazione tra persone attraverso le emozioni, il calore, l’amore, anche le liti non può essere sostituito da faccine. C’è la necessità di condividere realmente anche il silenzio e la noia. Attraverso gli smartphone invece molti scelgono di proiettare un’immagine di sé stessi deviata, irreale, per essere riconosciuti. In questo modo si alimenta la credenza che nella realtà non siamo all’altezza rispetto all’aspettativa che abbiamo creato nell’altro. Questo porta a rinunciare sempre di più a vedersi di persona e a frequentarsi, abbiamo creato una persona immaginaria, un clone di noi stessi che non è aderente a quello che siamo veramente, e più alimentiamo questa credenza e più ci sentiamo separati dalla realtà, ci sentiamo soli, allora nutriamo ancora di più il nostro clone tentando di avere più riconoscimento, in questo modo entriamo in un circuito di rinuncia alla realtà che può portare alla depressione.
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