di Mariano Colla
L’ISPI (Istituto per gli studi di politica internazionale ) e la fondazione Farefuturo hanno presentato presso il Ministero degli esteri uno studio congiunto dal titolo “I BRICs e noi”, analisi dell’ascesi economica di Brasile, Russia, India e Cina (BRIC) e sui conseguenti effetti sull’occidente.
Ai BRIC, su sollecitazione della Cina, si è, ultimamente, aggiunto il Sud Africa, da cui la “s” finale.
I BRICs non formano un cartello, né un consorzio, né una partnership, bensì si possono classificare come una forma di club la cui amalgama è assicurata, principalmente, dagli interessi reciproci.
Paolo Urso, presidente della fondazione Farefuturo, Paolo Magri, direttore dell’ISPI e l’ambasciatore Magliano, direttore generale per la mondializzazione e le questioni globali del ministero, hanno evidenziato l’importanza del fenomeno BRICs, pur sottolineandone le criticità.
Lo studio sottolinea, infatti, che non sarebbe del tutto corretto interpretare i BRICs come un blocco coeso e capace di esercitare una minaccia all’ordine mondiale. Le diversità sul piano economico sono profonde. Per fare qualche esempio, il 55% del PIL e il 65% del com¬mercio estero dei BRICs vanno attribuiti alla sola Cina, che genera oltre il 50% dell’energia e il 50% delle spese militari dei quattro Paesi; viceversa l’India, che nel 2025 supererà la popolazione cinese, resta decisamente inferiore a Cina, Brasile e Rus¬sia per dimensioni territoriali e disponibilità di risorse naturali
La Russia solo recentemente entrata nel WTO, presenta debolezze strutturali che la rendono economicamente più fragile rispetto agli altri paesi.
Tuttavia nei BRICs vive il 40% della popolazione e si produce il 32% dell’energia mondiale. Se oggi essi producono il 16% del PIL mondiale nel 2030 il loro contributo alla produzione della ricchezza globale salirà al 47%. Il potere non è solo economico ma anche demografico. Inoltre, quali futuri membri di questo club, si affacciano paesi quali la Turchia, Il Vietnam, l’Indonesia, la Corea, il Messico, potenziando in tal modo la massa critica attribuibile a un BRICs allargato, con l’effetto di ridurre ulteriormente il potere economico dell’occidente.
Oggi il potere dei BRICs è principalmente economico, ma è in corso la sua trasformazione in potere politico, con prevedibili, significativi impatti sia sulla globalizzazione, sia sulle economie regionali.
Certo non è tutto oro ciò che luccica.
Secondo gli analisti che hanno collaborato allo studio alcune nubi appaiono sul roseo orizzonte, quali le emergenti tensioni sociali e sindacali in Cina, il lento processo di industrializzazione russo, l’aumento dell’inflazione in Brasile. Non è tuttavia prevedibile il tracollo che han subito le economie occidentali, anzi sono e saranno proprio le potenze emergenti che finanzieranno i debiti europei e americani. Se il trend positivo continuerà, nonostante la crisi, è difficile dirlo. Il punto è capire in quale misura l’occidente può intercettare tale crescita e tramutarla in opportunità.
Ritornando alle criticità dei BRICs, particolare enfasi è stata data alla Russia.
La Russia, erede di una superpotenza, è inserita nel club ma è costretta a inseguire gli altri partner, più organizzati e industrialmente più avanzati.
La Russia vive di rendita, grazie alle risorse naturali che la rendono indispensabile, ma sembra incapace di uscire da tale dipendenza. L’elite politica del paese non favorisce lo sviluppo del paese ed è vittima di una scarsa modernizzazione, fattori questi che, secondo gli analisti, non escludono l’implosione economica dell’ex Unione Sovietica.
Il Brasile si è consolidato negli ultimi 5 anni con un forte processo di crescita. Ha una banca centrale autonoma, il paese è ricco di risorse naturali, vanta un’alta percentuale di popolazione economicamente attiva, la disuguaglianza di reddito si è ridotta e si è incrementata la classe media.
Tuttavia emergono alcuni segnali a cui il paese deve prestare attenzione, quali l’aumento del disavanzo e la riduzione di competitività, scesa a causa della rivalutazione del Rial. Inoltre la forte richiesta asiatica ha prodotto uno sbilanciamento a favore delle materie prime rispetto all’industria.
I BRICs rappresentano un gruppo destinato a essere cooperativo e non chiuso, con il chiaro intento di avviare e consolidare rapporti commerciali a geometrie variabili con altre istituzioni internazionali. Aspirano a rappresentanze sempre più significative in ambito G20, Fondo monetario, Banca mondiale.
Sembra evidente una ricerca comune di stabilità, per prevenire i colpi di coda di una crisi che, se travolge l’occidente, non risparmierà i paesi del BRICs.
Il paradigma vincente sembra, pertanto, essere cooperazione e competizione, format in qualche modo adottato dall’ultimo G20.
Paolo Quercia, analista di politica estera, ha commentato i principali contenuti dello studio, riflettendo su tre concetti guida, ossia i BRICs come tali, la globalizzazione, l’Italia.
Ne è emerso un quadro dai contenuti, non solo economici, ma anche di filosofia politica.
In merito ai BRICs, dice Quercia, bisogna riflettere sul ruolo dello Stato. L’occidente vive, da tempo, una fase di postmodernismo, dimensione in cui la sovranità non risiede più negli Stati, ma è passata nelle mani di organismi transnazionali, multinazionali, etc.
Per i BRICs lo Stato mantiene, invece, tutta la sua sovranità, in linea con i principi del modernismo. Lo Stato trae potere dalla ricchezza economica e massimizza i propri benefici tramite un approccio selettivo alla globalizzazione.
Per quanto riguarda la globalizzazione, Quercia rileva che all’inizio degli anni 2000 essa cambia natura. Si innescano meccanismi di maggiore competitività e di alterazione del potere economico che la sottende.
L’occidente estrae meno potenza dalla globalizzazione.
La globalizzazione che, fino ad allora, si poteva coniugare secondo paradigmi occidentali legati al postmodernismo, con l’avvento del BRICs vira verso un nuovo modello basato sulla sovranità degli Stati.
Convivono due globalizzazioni, quindi, una di stampo occidentale, in decadenza, l’altra asiatico pacifica, in espansione. Non più un paradigma occidentale comune, bensì due sistemi contrapposti.
Emerge tuttavia un paradosso. I sistemi Stato centrici, con un certo livello di deficit democratico, creano più libertà economica dell’occidente che, in parte, l’ha persa.
La ricerca di fattori comuni sembra la via indispensabile per dettare i nuovi criteri della globalizzazione.
Secondo Quercia l’Italia si trova nella faglia tra i due sistemi. Le ragioni di questo curioso posizionamento risiedono nei ritardi nella modernizzazione del nostro paese, in uno statalismo che non ha ancora del tutto aderito ai meccanismi del post modernismo e nei ritardi socio politici legati anche a una unità del paese non del tutto compiuta. In altri termini l’Italia è entrata nella globalizzazione senza aver abbracciato il post modernismo.
Nondimeno la seconda versione della globalizzazione può favorirci. Il non esserci destrutturalizzati può avvicinarci ai BRICs senza, tuttavia, uscire dai cardini della nostra politica estera.
Il funzionario dell’ambasciata cinese, presente alla presentazione del libro, ha sottolineato come gli attuali rapporti est-ovest non vanno visti in termini di vinti e vincitori ma di interdipendenza. La Cina ha bisogno di sviluppare il mercato interno e questa è una grande opportunità per i paesi occidentali.
In conclusione è la conferma della linea della collaborazione e non della contrapposizione.