di Mariano Colla
In questi giorni di contorsionismo politico, di apparente dialogo tra sordi, di insanabile protagonismo di politici di antica estrazione o di avidi neofiti, sorge spontanea una domanda: i partiti, che hanno l’ambizione di governarci, rappresentano realmente la volontà degli elettori o ne travisano il mandato elettorale, agendo secondo convenienza propria e alterando, in tal modo, il rapporto con i cittadini, ovvero quel legame che, almeno in teoria, dovrebbe costituire il principio della rappresentatività?
Terminate da tempo le appartenenze ideologiche a favore o di interessi economici di parte o di necessità ed impellenze sociali, mi sembra che la politica sia preda di una certa crisi di rappresentatività.
I cittadini italiani, ben consci dei problemi del proprio paese che, con diversa intensità, stanno cercando di sopportare e risolvere, due mesi fa sono andati diligentemente a votare, animati in gran parte da un sentimento di cambiamento, stimolati dal desiderio di dare al paese un governo stabile e, per quanto possibile, non inquinato da scandali e malversazioni.
Hanno votato per dei programmi, non sempre chiaramente espliciti nei loro contenuti, confusi da una campagna elettorale dai toni particolarmente accesi, come se la vittoria dell’uno passasse attraverso la demonizzazione dell’altro e non tanto sull’effettiva validità ed esecutività del programma proposto.
Forse la democrazia promuove tale vivace confronto ma può venirne penalizzata qualora lo scontro politico si incentri sulla conflittualità più che sulle idee e sulle proposte concrete. Non è certamente un caso se l’assenteismo elettorale è cresciuto radicalmente in questi ultimi anni.
Il risultato della consultazione elettorale ha prodotto un mostro a tre teste, mostro perché frutto di un meccanismo elettorale battezzato “porcellum” che, nonostante l’emblematica definizione, tale è rimasto.
Tuttavia, anche se queste erano le regole del gioco, ritengo non fosse nelle intenzioni degli elettori, al di là della loro scelta politica, condurre il paese in una situazione di stallo istituzionale da cui è difficile vedere una via d’uscita. Situazione di stallo per la quale, almeno mi pare, non è stata data nessuna delega.
Si dice che il popolo italiano sia saggio e paziente ma, pur accogliendo queste qualità, la grottesca commedia che da più di due mesi è in scena sul palcoscenico parlamentare, laddove attori, presunti attori e comparse recitano a soggetto, seguendo la falsariga di un canovaccio che neppure la fervida mente di Machiavelli avrebbe potuto immaginare, va oltre ogni ragionevole accettabilità, alimentando ulteriormente quel rigetto della politica già in corso da anni. Il popolo italiano è il muto spettatore di una lotta per il potere senza vincitori né vinti.
Un complesso intreccio di veti incrociati su ruoli e poltrone paralizza il paese. Un balletto in cui i vari figuranti, a turno, sfoderano veroniche e pose plastiche per ammaliare un pubblico che non segue più la musica di scena e si assopisce nel totale disincanto.
Nella retorica che ne accompagna sempre più l’azione, i partiti ci vogliono forse convincere che i bizzarri bizantinismi di questi giorni siano comunque imputabili alla comune dialettica politica?
Può essere, ma se pur così fosse, lasciatemi esprimere l’opinione che da tale politica sembra mancare una componente fondamentale: il buon senso.
Buon senso particolarmente importante quando vigono situazioni di massima urgenza.
Probabilmente i cittadini italiani, sia quando hanno votato ma, a maggior ragione ora, questo buon senso hanno il diritto di richiederlo e sempre meno sono disposti a sopportare
le suadenti coreografie della politica.
Insomma fino a che punto la delega rappresentativa dei cittadini deve essere distorta da interessi di parte? Sino a che punto i cittadini si devono sottoporre ad un atto di volontaria sottomissione quando il meccanismo rappresentativo viene messo in crisi da una errata interpretazione dello stesso?
A Montecitorio e a Palazzo Madama c’è chi invoca la rivoluzione, chi lo status quo, chi un cambiamento più moderato, chi ….non si sa.
I “Talk Show” rimandano quasi quotidianamente ad immagini di discussioni e di confronti senza fine che non fanno altre che confondere il già complesso scenario. Il cittadino, a mio avviso, da tutto ciò ne esce frastornato.
Ma i cittadini che cosa vogliono? Le ansie e i problemi della vita quotidiana richiedono soluzioni rapide, efficaci e tempestive. Non è più tempo di parole ma di fatti. La gente è stanca di chiacchiere, e ai propri governati richiede concretezza e non funamboliche alchimie che passano attraverso i capricci ora di uno schieramento politico, ora di un altro. Mi sembra questa l’opinione più diffusa tra gli italiani, sondaggi alla mano. Si trovi il modo di rappresentarla adeguatamente tra gli scranni del parlamento.
Le manifestazioni di piazza che i partiti e i loro leader invocano ed organizzano per veicolare messaggi intrisi di retorica, laddove non si sa sino a che punto le presenze dei cittadini siano pilotate, dovrebbero costituire le occasioni i cui gli elettori manifestano il proprio dissenso, per far sì che la comunicazione non sia tanto nel verso politici-piazza, quanto in senso inverso, ossia nel senso che sia la piazza a comunicare in termini forti e chiari che la pazienza è alla fine.
Anche le moderne tecnologie, da Internet a Facebook, a Twitter possono rappresentare delle utili piattaforme su cui manifestare il dissenso verso gli oscuri meandri della politica. La politica non deve essere più lasciata sola a gestire il nostro destino.
Ritornare a votare, con i costi che tale processo richiederebbe, sarebbe un grave errore soprattutto con una legge elettorale dentro cui già si annida il tarlo della non corretta rappresentatività.