Di Antonio Renzi
La Corte ha dato il via libera ai referendum contro la privatizzazione dell’acqua, voto che punta ad abrogare la legge sull’affidamento dei servizi idrici a società private. Ci siamo rivolti a Stefano Ciafani, Responsabile scientifico di Legambiente per riuscire a comprendere meglio i motivi e le perplessità che hanno spinto il movimento ambientalista ad ostacolare la privatizzazione dell’acqua.
Qual è la posizione di Legambiente su questo tema?
Legambiente è contraria a una norma come il Decreto Ronchi che nei fatti accelera il percorso di privatizzazione del servizio idrico in Italia. La nostra adesione al percorso referendario non ha come obiettivo la ri-publicizzazione tout court della gestione dell’acqua, visto che i problemi attuali del servizio idrico italiano sono un’eredità delle gestioni totalmente pubbliche, ma punta ad una radicale modifica della legge vigente, perché fondata su presupposti assolutamente sbagliati. Infatti la gestione privata viene considerata erroneamente la soluzione a tutti i mali, come testimoniato da alcune esperienze fallimentari di privatizzazione del servizio idrico integrato sul territorio italiano, mentre non esiste nessuna normativa comunitaria che obbliga gli Stati membri a liberalizzare la gestione dell’acqua.
Quali sono i motivi per cui votare SI o NO al referendum?
Legambiente è nel comitato promotore dei referendum e inviterà gli italiani a votare sì, perché cambiare pesantemente il decreto Ronchi. Questa legge si basa in modo per certi versi ideologico sul primato delle aziende private rispetto alle gestioni pubbliche e questo è inaccettabile. La gestione privata è considerata erroneamente come la migliore e inoltre con il decreto Ronchi rischiano di essere compromesse quelle gestioni pubbliche che hanno garantito un servizio idrico efficace, efficiente ed economico.
Cosa comporterebbe una privatizzazione del servizio idrico nazionale e per quali motivi non si può lasciare agli enti locali la facoltà di gestire autonomamente i servizi idrici?
Se come sta avvenendo in quasi tutti i casi di privatizzazione del servizio, i privati che gestiscono l’acqua sono le grandi imprese multinazionali – mille volte più strutturate e influenti degli enti pubblici “custodi” delle reti, della loro efficienza e della loro equa gestione – risulterebbe molto più complicato per i controllori far valere l’interesse pubblico. Inoltre, con la privatizzazione si rischia di dare la possibilità ai gestori privati di incassare i profitti della vendita dell’acqua, mentre ai controllori resterebbe l’onere della modernizzazione e manutenzione delle reti idriche, che non è un aspetto di poco conto nel nostro Paese. Per questo ci sono casi in Europa, come quello di Parigi, in cui si sta facendo dietrofront dalla gestione privata a quella pubblica dell’acqua.
Cosa si aspetta Legambiente da una modifica della legge?
Per Legambiente la modifica della legge vigente deve essere finalizzata alla risoluzione dei problemi del servizio idrico, ormai noti da anni: il 33% dell’acqua si perde nelle reti colabrodo di trasporto e distribuzione; il 30% degli italiani non è ancora servito da un depuratore (18 milioni di cittadini in Italia ancora oggi scaricano i loro reflui non trattati direttamente nei fiumi, nei laghi e nei mari) e il 15% da una rete fognaria; il costo mediamente basso della risorsa che non ha sfavorito i grandi consumatori (noi siamo ovviamente favorevoli a garantire il diritto a tutti, ma serve un sistema tariffario che scoraggi gli sprechi); un accesso universale all’acqua che in alcune parti del Paese è ancora oggi razionato; la mancanza di politiche di efficienza e risparmio che permettano di passare dalla gestione della domanda alla pianificazione dell’offerta della risorsa idrica; l’assenza di una authority pubblica forte, autorevole e indipendente per controllare che le gestioni rispondano ai criteri di un uso socialmente equo e ambientalmente sostenibile dell’acqua.
Abbiamo rivolto delle domande anche a Vincenzo Pepe, Presidente di FareAmbiente, che invece si è fatto promotore delle ragioni di dire no al referendum per la statalizzazione dell’acqua, a tal fine il 09 febbraio a Roma presso la Sala del Cristallo, Hotel Nazionale, Piazza Montecitorio sarà possibile discutere sulle ragioni di tale posizione.
Finalmente si riescono a leggere anche le ragioni del no…bello quest’articolo, almeno la gente può farsi un’opinione sentendo tutte e due le parti, purtroppo come detto da Pepe si è invasi dall’informazione a senso unico, demagogica e populistica, ma si sa che l’italiano medio non si informa più di tanto…
Grande è la confusione sul tema merce.
Grande è la confusione sul tema azienda con Capitale a controllo pubblico o Controllo Privato.
L’acqua portata a casa tramite una rete acquedottistiche è frutto del lavoro umano e quindi è una merce.
Il tema se sia o no in regime di monopolio è la vera questione, e chi gestisce il monopolio ?
A favore di chi ?
Su questi temi abbiamo scritto un articolo sul nostro blog
http://www.osmosiinversa.blogspot.com
[…] migliorerebbero la situazione degli acquedotti, semplicemente perché la manutenzione della rete rimane in mano pubblica, in virtù del fatto che l’acqua rimane formalmente un bene comune. È una situazione simile […]
[…] Referendum sull’acqua: le ragioni del SI e del NO […]
[…] Referendum sull’acqua pubblica: le ragioni del si e del no a confronto […]
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