di Stefania Taruffi
Quelle ruspe mi fanno male dentro. Stanno abbattendo gli ultimi alberi di un fazzoletto di terra vicino alla casa dove ho trascorso la mia infanzia, che si chiamava, o tutti chiamavano, “Bambinopoli”. E’ un piccolissimo terreno privato tra i palazzi di un ridente paesino balneare vicino Roma, dove tanti anni fa c’erano campi da tennis e giochi per bambini. Da qui il suo nome. Prima della televisione, di internet, del traffico, si viveva per strada, si giocava all’aria aperta e in luoghi come questo, sempre troppo pochi, si viveva la propria infanzia in libertà e all’aria aperta. Era un’area verde, un piccolissimo ma prezioso polmone in mezzo al cemento crescente, negli anni, sempre più invadente. Bambinopoli resisteva. E anche se non era più consentito l’accesso, restava una piccola oasi. Oggi, insieme agli alberi stanno abbattendo un pezzo di me. E anche la mia fiducia nelle Istituzioni, che dovrebbero tutelare le aree verdi, l’ecosistema, impedendo ai privati la cementificazione indiscriminata per puri interessi economici privati. In quel fazzoletto, infatti, è prevista la costruzione di due palazzi a sei piani. In un contesto di crescita demografica pari quasi a zero, non c’è questa esigenza di alloggi. E a conferma della diminuzione della domanda, a pochi chilometri sono stati edificati negli anni interi quartieri con villette a schiera e appartamenti popolari, perlopiù rimasti invenduti. Ora, chi vive da quarant’anni davanti al Bambinopoli, come molti residenti, abituato ad affacciarsi e respirare il profumo dei pini, con il mare che faceva capolino fra gli alberi, per il momento può osservare una spianata incolta senza alberi e a breve, si ritroverà davanti ad una massa di cemento che chiuderà per sempre ogni visuale e ogni speranza di vivere in un ambiente ecocompatibile. I residenti si sono sentiti parte lesa in tutta quest’operazione: in primo luogo per il discorso ecologico; poi per motivi di estetica urbanistica, poiché due edifici del genere, sarebbero addirittura più alti di tutti i palazzi circostanti; non indifferente anche il fattore economico, che vede un drastico abbassamento del valore dei loro immobili; per non parlare dell’aumento del traffico, delle macchine parcheggiate, dell’inquinamento e della vivibilità nell’area circostante. Ogni tanto per fortuna qualcuno si ribella ancora e questi onesti cittadini, si sono riuniti in un comitato spontaneo, apartitico, apolitico, semplicemente guidati dal buon senso e dal desiderio di mantenere in vita l’area verde. Con un grande impegno personale e di tempo, si sono rivolti all’Amministrazione locale per protestare contro il nuovo Piano Regolatore che ha permesso che tutto ciò avvenisse; alla Regione; alla magistratura amministrativa e a quella penale, ottenendo un blocco, almeno temporaneo, della costruzione dei due palazzi. Oggi queste ruspe, mi ricordano, in un linguaggio molto pratico, tipico della politica italiana, che non c’è limite giuridico, figuriamoci etico, che possa fermare il desiderio di arricchimento di alcuni, a discapito dell’equilibrio ambientale e sociale.
Un equilibrio già così precario e difficile da mantenere, eppure così importante per sopravvivere e di cui ogni amministrazione pubblica avrebbe il dovere di tenere conto. Credo che essere un paese civile significhi anche sapersi assumere delle precise responsabilità nei confronti dei cittadini e delle aree urbane in cui essi si trovano a vivere. Eppure basterebbero delle leggi precise e inderogabili al riguardo. Delle indicazioni, dei vincoli di tutela, delle regole e i relativi controlli. Le amministrazioni stanno dimenticando che sono loro a dover dare il buon esempio perché non si perda del tutto la fiducia nelle istituzioni. Che promuovendo valori come il rispetto per l’ambiente, l’onestà, la bellezza, la trasparenza, l’efficienza, creando spazi vivibili, facendo sentire i cittadini tutelati (e non sempre fregati), potrebbero contribuire a formare una società migliore. Persone migliori. E invece ci fanno arrabbiare. C’è sempre più rabbia nei cittadini e sempre meno speranza nel futuro. Siamo tutti consapevoli di come vadano a finire queste cose in Italia, anche nella nostra vita quotidiana. Spesso rinunciamo a ribellarci, ci rassegniamo. A volte la rabbia è così forte che decidiamo di lottare. Sappiamo anche bene però, che non vinceremo mai, come le ruspe confermano.