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Il museo della mafia

di Mariano Colla
Forse non tutti sanno che se “Torino fu la prima capitale del Regno d’Italia, Salemi, una piccola cittadina siciliana in provincia di Trapani, fu la prima capitale dell’Italia liberata. Il 14 maggio 1860 Giuseppe Garibaldi, arrivato qui dopo lo sbarco a Marsala, si proclamò dittatore della Sicilia in nome di Vittorio Emanuele II e conferì a Salemi il titolo di prima capitale d’Italia, titolo che detenne per un solo giorno”.
Nel caldo e luminoso meriggio siciliano arrivo, quasi per caso, in questa cittadina che  si adagia sul crinale di una collina da cui, in lontananza, si apprezzano i morbidi lineamenti della valle del Belice.
Salemi, sovrastata dalle antiche mura e dalle imponenti strutture del castello normanno, dimenticata forse per molti anni, ha  riacquistato  recentemente  una certa notorietà grazie ad importanti iniziative culturali. Tra esse particolare menzione merita quella organizzata presso il  museo civico, ex  Convento seicentesco dei Gesuiti, sul tema: “Sicilia e la mafia”.
Nata da un’idea di Vittorio Sgarbi, attuale sindaco della città, la mostra permanente, dedicata a Leonardo Sciascia, occupa le undici sale del 1° piano dell’ex Collegio dei Gesuiti, situato in via D’Aguirre, nel pieno centro storico della Città di Salemi.
Il logo della manifestazione  (una Sicilia Insanguinata) è di Oliviero Toscani.
La mostra è poi frutto della creazione di Nicolas Ballario (che si è occupato della direzione artistica), di Cesare Inzerillo (che ha curato gli allestimenti e la progettazione), e di Elisabetta Rizzuto (che si è occupata del coordinamento generale).
Sicilia e la mafia: un tema che ripropone il tragico  conflitto tra la terra di Sicilia, con tutte le sue contraddizioni, e la violenza del fenomeno mafioso che, come un cancro inestirpabile, irradia i suoi malefici tentacoli nel potere, nella cultura, nell’economia e nella vita quotidiana di questa regione d’Italia dalla selvaggia bellezza.
Ferita sempre aperta, dunque,  che una certa cultura, o sottocultura locale, ancora tenta di celare, preda come è di perversi meccanismi omertosi che attribuiscono a saperi estranei all’ambiente autoctono  la presunzione  che attesta la presenza mafiosa sul territorio.
Mostra che comprova un certo coraggio nei suoi ideatori, tra cui non si può disconoscere l’impulso culturale, almeno in questo caso, del sindaco Vittorio Sgarbi. Non è casuale che  ignoti abbiano tentato di appiccare il fuoco ad un portone del complesso monumentale del Collegio dei Gesuiti, pochi mesi dopo l’inaugurazione.
Iniziative di questo tenore non risolvono il problema ma creano coscienza e consapevolezza, soprattutto nelle giovani generazioni, strumenti indispensabili per sradicare in prospettiva la malefica piovra che tanto nuoce al  mezzogiorno d’Italia.
Il presidente Napolitano ha inaugurato la mostra  circa un anno fa e, per quanto di mia conoscenza, non mi sembra di ricordare che la stampa o la Tv si siano spesi più di tanto nel dare risalto all’evento.
Risalto invece che la manifestazione meritava e tuttora merita.
Tra le austere mura dell’ex convento gesuita il percorso museale  è stato ideato  con l’intento di sottolineare la drammaticità di una storia lunga e cruenta, estremamente dura nella simbologia che va oltre  l’evento delittuoso per incarnare figure di mattanza, di sacrificio pagano, di ostentazione di sangue e violenza.
Il visitatore muove i primi passi all’interno di ambienti immersi in un buio totale, dove  sono collocate delle cabine elettorali, dipinte di nero, numerate e sparse casualmente. Attraverso una piccola porta si accede a uno spazio angusto e il visitatore, solo, si trova dinnanzi a uno schermo televisivo.
L’ambiente ristretto, il buio e le immagini che scorrono sugli schermi contribuiscono a creare un senso di angoscia, una percettibile ansia di fronte ai riti di iniziazione dei picciotti e ai cerimoniali che scandiscono le consuetudini delle famiglie mafiose, raccontate da soggetti che ti fissano negli occhi con espressioni prive di emozione e sguardi in cui si racchiude la gelida determinazione di un carnefice. Ogni cabina, a sorpresa, offre il suo carnet tragico e misterioso, lampi da un abisso drammatico e violento: le stragi, il rapporto della mafia con la religione, le intimidazioni, la gestione dell’energia e dell’acqua…per poi arrivare a temi come il carcere, il ruolo della famiglia, la politica, l’informazione e la sanità.
Una coreografia certamente ad effetto che si trasmette di cabina in cabina in un crescendo di suggestioni che incutono nel visitatore quel senso di paura che ogni individuo, prima o poi a contatto  con la criminalità mafiosa ha certamente provato.
La mostra si sviluppa poi in una serie di ambienti in cui trovano posto su apposite pareti i titolo di testa di quotidiani che dall’inizio del  XIX secolo hanno seguito l’evoluzione del fenomeno mafioso in Sicilia.
Una lunga sequenza di pagine che riportano la storia di una guerra infinita.
Titoli a caratteri cubitali che fanno da contorno a immagini di cadaveri insanguinati riversi sulla strada, sui sedili di automobili, nell’androne di casa, chi nel disperato tentativo di sfuggire alla morte, chi quasi sorpreso dall’artiglio fatale. E poi le stragi, Falcone, Borsellino, Livatino, Chinnici, Dalla Chiesa, in un crescendo di sangue che vede lo Stato impotente e vittima. Anni di cronaca  si susseguono con impietosa violenza e lastricano di sangue una terra che non sembra soffrire più, straziata dalla tragica morte di tanti suoi figli.
Segue la Sala dell’Abusivismo Edilizio, allestita con mummie di Inzerillo che raffigurano i cadaveri legati a Cosa Nostra, ancora aggrappati ad una vita presunta, e la Sala delle Pale Eoliche, dove  al posto del pavimento è posizionato un manto erboso e sulle pareti vengono proiettati i paesaggi devastati dall’eolico, impresa in cui la mafia ha potuto espandersi indisturbata.
Chiudono il percorso museale  la mostra di Gaspare Mutolo, importante pentito di Cosa Nostra, che in dieci opere racconta la Sicilia vissuta attraverso la sua esperienza, prima da mafioso, quindi da carcerato  e, infine, da uomo libero, e alcuni  documentari che ripropongono alcune interviste dei protagonisti della storia di Cosa Nostra.
Sono principalmente immagini di servitori dello Stato che hanno pagato con la vita la dedizione a una causa, che si sono sacrificati  nel tentativo di ridare giustizia e legittimità a un territorio travagliato e senza pace e la cui voce equilibrata e serena contrasta con l’arrogante linguaggio dei mafiosi nelle aule di tribunale.
La mostra di  Salemi : nel caldo sole di Sicilia una importante testimonianza che coniuga arte e storia, nella speranza di un  futuro migliore.

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