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Robin Williams: quando il vuoto divora l'anima

di Mario Masi
Tre matrimoni, tre figli, 70 film in 35 anni, un Oscar (come attore non protagonista di Will Hunting Genio ribelle), quattro Golden Globe dopo, Robin McLaurin Williams, di origini anglo-gallesi-irlandesi-francesi ha lasciato il segno nella storia del cinema. Ognuno di noi ha il suo Robin preferito, che sia quello diMork & Mindy, o il Popeye di Altman, il Tom Dobbs di L’uomo dell’anno di Barry Lavinson, ildeejay Adrian Cronauer di Good Morning, Vietnam, il professore rivoluzionario John Keating di L’attimo fuggente, il Peter Pan di Hook, Cris, padre e marito nel commovente Al di là dei sogni, Daniel Hillard, il mammo di Mrs. Doubtfire….e potrei continuare all’infinito.
Quello che ha stupito della sua inaspettata morte e come un attore di fama planetaria e interprete di film messaggeri di importanti messaggi motivazionali e spirituali. Ne parliamo con Cristiana Zanello, counselor ad indirizzo bioenergetico e psicosomatico.

Come è possibile che una persona che sembrava così felice in realtà fosse così depressa?E’ possibile quando la depressione invade in modo paralizzante la vita di un uomo che all’apparenza sembrava felice. In realtà una robin williamspersona può essere inizialmente depressa parzialmente e condurre una vita normale, come tanti, ha una carriera di successo, ha una famiglia, delle relazione sociali, ha una vita sessuale, ma dentro la sua anima è divorata dal vuoto. Il tema centrale della depressione è la rinuncia. Si arriva alla rinuncia quando vediamo infrangersi una credenza in cui abbiamo investito tutta la nostra vita, fino a cristallizzarci in un ruolo. Il depresso, per citare Nardone, è un Illuso deluso o dagli altri o da sé stesso. Ho letto che Robin Williams credeva che il mondo fosse brutto e gli faceva paura, dichiarando che lui rideva per esorcizzare l’angoscia che la bruttezza del mondo gli procurava.  Quando la credenza è “Do il meglio di me stesso, mi darò totalmente e il mondo cambierà” e vedo un mondo brutto nonostante i miei sforzi, i ruoli che interpreto, arrivo a rinunciare ad ogni forma di coinvolgimento emotivo, costruendo una nuova credenza disfunzionale. “Non mi lascio più coinvolgere, così mi proteggo e nulla può succedermi”. Questa forma di rinuncia è impossibile da attuare perché più si cerca di scappare dalle emozioni e più si potenzia il nemico esterno, allora si tenta di anestetizzarsi emotivamente attraverso l’alcol, le droghe, per non sentire. La rinuncia parziale diventa totale: la depressione grave che porta in casi estremi al tentato suicidio.Come si impara a riconoscere i segni di allarme di un possibile suicidio?
Innanzitutto è bene sottolineare che per arrivare al suicidio significa che la persona è passata dalla rinuncia parziale, ad una rinuncia totale, fino alla rassegnazione. Questo stato dell’essere dà dei segnali evidenti. C’è da considerare che ci sono persone che hanno una modalità depressiva che si esprime dopo anni di lamentela, tristezza, astenia,  perdita di interesse, credenze tipo “tanto è così e nulla cambia”, si sentono vittime del destino, alcune vittime del loro bagaglio genetico e questo perpetua l’escalation verso la rinuncia totale. La depressione nasce da una credenza che si è instaurata nel corso della vita e quando questa si frantuma, la persona è incapace di ricostruirla e diventa vittima del destino. Un esempio diffuso, la persona che investe la sua esistenza a credere “se mi comporto in questo modo, se soddisfo i bisogni di mia moglie e i miei figli (annullandomi) loro rimarranno con me tutta la vita e non rimarrò più solo”. In questo modo ci si cristallizza nel ruolo del buon padre/madre marito/madre, si è felici Mrs-Doubtfirefinchè non accade qualcosa di esterno, come un tradimento, che rompe l’ illusione.  Dalla confusione, alla rabbia, alla tristezza si passa alla depressione. La persona ha visto la sua credenza frantumarsi e non è più in grado di ricostruirla, quindi rinuncia. Rinuncia a vivere! Entra in un ruolo di vittima, perchè ha subito la realtà in modo impotente. La mancanza di tensione, l’impotenza, il senso di vuoto diventano dominanti, si fa fatica a vivere.
Come reagire quando l’anima è divorata dal vuoto?
Si può reagire facendosi aiutare da qualcuno di esterno. Scoprendo quante risorse ci sono dentro di noi, che in parte sono conosciute perché le abbiamo già utilizzate in passato, altre sono in embrione, non pensiamo di essere delle persone così illimitate. Dobbiamo creare pensieri potenzianti, credenze antagoniste che ci permettono di risolvere il problema. Ed il problema si risolve da un altro punto di vista, non rimanendo nella stessa credenza poichè in questo modo si sceglie la rinuncia. Possiamo scegliere pensieri che ci aprono a nuove opportunità, e un pensiero ripetuto porta all’azione e all’instaurarsi di un comportamento. E’ un’esperienza quotidiana. Ci si dimentica naturalmente la scelta iniziale, si scoprono nuove potenzialità, si espande la visione limitante di se stessi e si crea una vita soddisfacente!
Quanto è cambiata l’amicizia nell’epoca degli smartphone? Quanto ancora conta la connessione umana?
La vita è cambiata, fino a pochi anni fa si viveva in comunità, nei borghi, nei condomini con le porte aperte, nei cortili di casa. L’essere umano ha necessità di vivere nel sociale, i social network sono un surrogato della condivisione che esisteva prima. Va utilizzato come valore aggiuntivo, non come sostitutivo. La comunicazione tra persone attraverso le emozioni, il calore, l’amore, anche le liti non può essere sostituito da faccine. C’è la necessità di condividere realmente anche il silenzio e la noia. Attraverso gli smartphone invece molti scelgono di proiettare un’immagine di sé stessi deviata, irreale, per essere riconosciuti. In questo modo si alimenta la credenza che nella realtà non siamo all’altezza rispetto all’aspettativa che abbiamo creato nell’altro. Questo porta a rinunciare sempre di più a vedersi di persona e a frequentarsi, abbiamo creato una persona immaginaria, un clone di noi stessi che non è aderente a quello che siamo veramente, e più alimentiamo questa credenza e più ci sentiamo separati dalla realtà, ci sentiamo soli, allora nutriamo ancora di più il nostro clone tentando di avere più riconoscimento, in questo modo entriamo in un circuito di rinuncia alla realtà che può portare alla depressione.
 
 

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