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Sonita, la rapper afghana che sfida la Sharia

L’emancipazione di una ragazza afghana, condannata da quello che per tradizione è un destino ineluttabile, attraverso la musica. È questo Sonita, documentario diretto dalla regista iraniana Rokhsareh Ghaem Maghami.

Il film è stato presentato in anteprima in Italia al Biografilm Festival di Bologna, dove ha ottenuto il premio Hera “Nuovi Talenti”. Nella motivazione la giuria ha apprezzato le “straripanti emozioni che è stato in grado di darci”, ma anche la “implacabile testimonianza” che dà “una possibilità in più di lottare contro l’oscurantismo” (…) Speriamo che questo film possa contribuire all’emancipazione di tutte le donne oppresse nel mondo”.

Il film segue alcuni anni della vita di Sonita Alizadeh, una ragazza che ha trovato nel rap la forza per opporsi alla piaga dei matrimoni forzati, ancora comuni nel suo come in altri paesi. Nata a Herat, a 10 anni stava per essere venduta come sposa. Poi è dovuta fuggire con la famiglia in Iran a causa dell’avanzata dei talebani. Per vivere fa le pulizie ma impara a leggere e scrivere. Si appassiona al rap, che dà voce alla sua rivolta, ascoltando Yas, l’unico artista autorizzato dal regime degli ayatollah, ed Eminem. Ma lei vuole anche fare musica, per esprimere le sue speranze e la sua ansia: conosce la regista quando sua cugina, volontaria nel centro dove studia Sonita, cerca qualcuno che possa dare lezioni di chitarra alla ragazza. Rokhsareh Ghaem Maghami prende a cuore questa giovane decisa e sognatrice.

Questa talentuosa ragazza scrive le prime canzoni e vince anche un concorso promosso dal governo afghano, con un pezzo per invitare la popolazione a votare. Dopotutto ha le idee molto chiare, nel passaporto “immaginario” che le chiede di compilare una operatrice del centro per rifugiati scrive di essere una cantante rap nata in America, con “papà” Michael Jackson e “mamma” Rihanna. Il premio lo manda alla madre, tornata in Afghanistan.

Ma la madre si fa di nuovo viva per chiederle di tornare, perché intanto hanno trovato un uomo che ha offerto una grossa somma per sposarla: Sonita ora ha 16 anni. La famiglia è d’accordo perché servono soldi al fratello, in modo che possa lui stesso comprarsi una moglie. La regista nel corso dei mesi ha cementato uno stretto legame con la giovane. La segue ovunque, per raccontarne l’emblematica storia, tra speranze e difficoltà: a scuola con le compagne che fanno il coro, in giro tra discografici che per vari motivi la snobbano. Inevitabile immedesimarsi, vista anche la condizione di subalternità della donna in Iran. Così la regista offre 2.000 dollari alla famiglia, per trattenere Sonita in Iran altri 6 mesi. Sarebbe stato “troppo brutale”, confessa, farla tornare a Herat, “lasciare che la vendessero e filmare tutto”, compreso il matrimonio combinato.

In quel periodo di libertà la rapper scrive Brides for Sale, la canzone che la rende nota grazie alla diffusione su Youtube e che denuncia la piaga dei matrimoni forzati, di cui lei stessa ha rischiato di essere vittima. Ghaem Maghami gira il video, sebbene sia illegale far cantare donne in pubblico.

Un colpo allo stomaco: Sonita con un codice a barre stampato sulla fronte, poi con la faccia sanguinante, infine con candido abito da sposa. E le rime tra cui spiccano: “Lascia che ti sussurri queste parole, così che nessuno senta che sto parlando delle bambine vendute. La mia voce non dovrebbe essere ascoltata perché contro la sharia, le donne devono rimanere in silenzio”.

L’ente benefico Strongheart Group, che sostiene giovani talenti provenienti da contesti disagiati nel mondo, offre a Sonita una visto per motivi di studio: dopo aver affrontato con Ghaem Maghami la burocrazia afghana al fine di ottenere gli agognati documenti, si trasferisce negli Stati Uniti, dove tuttora risiede. Vuole diventare un avvocato.

Intanto il documentario che racconta la sua storia di rivolta verso la tradizione delle spose-bambine ottiene un grande successo internazionale. Si afferma all’International Documentary Filmfestival di Amsterdam, ottiene il Gran Premio della Giuria al Sundance. Una piccola luce di speranza per milioni di bambine, costrette a perdere l’innocenza nel nome della tradizione.

di Valentino Salvatore

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