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Le nuove geografie della Rete


Tencent
Tencent, il social network cinese, fa il verso a Linux e ha 17 milioni di utenti in più di Facebook

Di Francesca Lippi

L’Occidente non sembra più dominare l’economia globale come una volta: ha perso mordente e anche Internet  contribuisce a tracciare una nuova mappa mondiale dell’economia. Al Web 2.0 Summit, tenutosi qualche settimana fa a San Francisco, è emerso che il Vecchio Continente ha volumi di audience troppo poco rilevanti per quanto riguarda il digitale. A loro volta gli Stati Uniti –il Nuovo Mondo- nonostante i 240 milioni di fruitori e ben il 76% di penetrazione, oramai sono largamente superati dal ‘Nuovissimo Mondo’. La Cina infatti ha niente meno che 384 milioni di utenti nonostante presenti solo il 29% di penetrazione. A questi devono essere aggiunti i 60 milioni di users russi, i 79 milioni di brasiliani e i 61 milioni di indiani. I mercati cambiano e i “clienti” anche.

Nuovi equilibri

Il trono dei sovrani è conteso fra vecchio e nuovo e la prova la dà il più famoso social network del Globo. Facebook, (con 620 milioni di account) comincia ad implementare le soluzioni adottate da Tencent, il suo corrispondente cinese (con addirittura 637 milioni di utenti). E noi? L’Italia sul panorama telematico è purtroppo una vera e propria “italietta” emergendo solo per la diffusione del 3G (siamo il quarto mercato al mondo) che comunque ha incominciato a concretizzarsi solo dopo che Apple ha lanciato l’iPhone, trovando nuovo vigore con l’iPad e i tablet. Peccato che i “catastrofisti” non manchino mai e c’è chi, questa estate, piangeva la morte della Rete uccisa brutalmente fra atroci sofferenze per mano delle “app”, le applicazioni. Il direttore di Wired USA Chris Anderson e l’editorialista Michael Wolff ne sono convinti. A morire –dicono- non è Internet in sé, ma il Web, sorpassato dalle Web apps appunto e dalla nuova Internet economy, che cerca di trarre profitto da ciò che fino a ora era gratis.

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Le apps per smartphone minano l’apertura e la neutralità della Rete

La Rete aperta è finita. Oppure no

“Video killed the radio stars”, cantavano i Buggle nel 1979. A ribadire il concetto c’è anche Tim Berners-Lee, il paterno genitore di Internet, preoccupato della sorte della sua discendenza. Fra i killer non ci sarebbe solo la Apple, colpevole di promuovere una visione proprietaria della Rete, ma anche i social network che, dopo aver sfruttato il World Wide Web, stanno tradendo gli stessi principi base su cui è fondato: la sua apertura e la neutralità. “Il Web si è evoluto in uno strumento potente e ubiquo – scrive Berners-Lee nell’articolo ‘Long Live the Web’, pubblicato su Scientific American- perché è stato costruito su principi di uguaglianza e sulla base del lavoro di migliaia di individui, università e aziende”. Eppure “il Web per come lo conosciamo oggi è minacciato in vari modi. Alcuni dei suoi inquilini più famosi hanno iniziato ad allontanarsi dai suoi principi”. Tutta colpa della frammentazione provocata dai social network e in particolar modo da Facebook. E questo perché –dice Berners-Lee- “una volta che si immettono dati verso uno di questi servizi, non è facile riutilizzarli in un altro spazio”. L’informatico parla proprio di “giardini murati” (wallen-garden) per questa capacità dei social network di trasformarsi in contenitori chiusi. Questa tendenza alla chiusura sarebbe anche favorita da compagnie, per esempio, come giornali e riviste con la tendenza “a produrre app per smartphone piuttosto che applicazioni web”. Questo sarebbe un elemento di disturbo perché in questo modo si priva la Rete di materiale informativo.

The man who bought the Web

La Rete quindi è minacciata e tutti sembrano voler diventare signori indiscussi del non-regno-digitale. Dopo lo scadalo di Wikileaks è iniziato un dibattito sul fatto che la Rete (aperta e neutrale) sia anche poco sicura. Gli Stati sono sempre più sospettosi verso Internet anche perché questa è al di fuori della loro giurisdizione. Chi sono allora i veri attentatori della Rete? I Governi stessi con il loro tentativo di controllo o le compagnie con la corsa al mercato digitale? Attualmente la Rete è controllata da un’istituzione non profit, l’Internet Society (Isoc) che ne guida le politiche e gli standard. Vi possono partecipare sia individui singoli, che scienziati, e gli stessi governi e corporation. Intanto Stefano Rodotà è convinto che il Web sia diritto universale e che in Italia dovrebbe essere sancito dalla Costituzione, così come accade già in alcune nazioni. E così, in collaborazione con la rivista Wired, ha proposto un nuovo articolo 21 bis che assicuri che tutti abbiano “eguale diritto di accedere alla Rete Internet, in condizione di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale”.

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