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Moria di uccelli e pesci, la causa sarebbe naturale

Di Valentino Salvatore

Da qualche tempo, uno strano fenomeno che si sta verificando in varie parti del mondo. Stormi di uccelli che vengono trovati morti senza che al momento si possa fornire una spiegazione univoca. E si fanno strada immancabilmente le ipotesi più disparate, che sfiorano anche il complottismo e l’esoterismo. C’è chi parla di fenomeni atmosferici quali fulmini o grandine, altri chiamano in causa l’inversione dei poli magnetici che farebbe perdere l’orientamento agli sfortunati volatili. Non mancano riferimenti alla presunta fine del mondo del 2012 o – a seconda dei gusti – all’Apocalisse, di cui questi rovesci di pennuti sarebbero le prime avvisaglie. Altri sospettano che la colpa della tecnologia utilizzata dall’uomo o dagli agenti inquinanti che avvelenano gli animali. In mezzo a tutte queste teorie è difficile sbrogliare il bandolo della matassa ed è allettante mischiare tutto in un unico calderone, invece di distinguere caso per caso. D’altronde questi episodi vengono a volte presentati come straordinari, affastellati e amplificati dal rincorrersi di voci e teorie, mentre risulterebbero più frequenti di quanto non si creda.
Ma partiamo con ordine. L’evento che ha attirato recentemente l’attenzione dei media si registra nella tranquilla – almeno fino a pochi giorni fa – cittadina di Beebe, in Arkansas. Qui alcune migliaia di merli sono stati trovati esanimi per le strade, suscitando sconcerto tra gli abitanti. Uno stillicidio iniziato l’ultimo dell’anno e continuato nelle ore successive, che pare il contrappasso de Gli Uccelli di Alfred Hitchcock. Come ha spiegato l’ornitologa Karen Rowe, gli uccelli malati di solito non volano. «Qualcosa deve averli stanati dagli alberi durante la notte, dove se ne stanno solitamente appollaiati», ha aggiunto, facendoli scappare. Secondo Rowe, ad abbattere i volatili può essere stata una grandinata ad alta quota, o dei fulmini.
Uccelli morti in Louisiana

Gli esperti dell’Arkansas Game and Fish Commission, che hanno analizzato diversi esemplari trovati, escludono l’ipotesi di un avvelenamento di massa o una epidemia. Anche perché gli animali che hanno approfittato degli uccelli piovuti per uno spuntino non hanno avuto problemi. Ma sugli sventurati merli sono stati trovati numerose ferite e coaguli di sangue dovuti a traumi interni. Gli uccelli, forse terrorizzati dai botti, sarebbero volati via dai soliti ripari tenendo una bassa quota per sfuggire al rumore, incontrando la morte, secondo l’ornitologa. D’altronde diversi abitanti dicono di aver visto e sentito delle esplosioni in zona poco prima la caduta degli uccelli. C’è chi chiama in causa l’Haarp (High Frequency Active Auroral Research), una installazione utilizzata per la ricerca sugli strati alti dell’atmosfera e della ionosfera, ma anche per comunicazioni militari. La struttura infatti sparerebbe onde elettromagnetiche che disorientano gli uccelli. Ma è remoto lo zampino di questa diavoleria, che dista almeno 5000 km dall’area.
La curiosità cresce quando si viene a sapere che vicino la cittadina di Ozark, a circa 200 km da Beebe, si è assistito da giovedì a una straordinaria moria di pesci-tamburo. Lungo le sponde del fiume Arkansas, per una trentina di miglia, ne sono stati trovati almeno 100mila cadaveri. Gli esperti stanno facendo i rilievi del caso e Keith Stephens, dell’Arkansas Game and Fish Commission, ha spiegato che «se fosse colpa di un agente inquinante dell’acqua, avrebbe colpito ogni specie, non solo i pesci tamburo». Si pensa piuttosto ad una epidemia che ha colpito solo questa specie. E la strage di pesci non pare avere correlazione con la non lontana falcidia di merli.
Viene però riportato un caso simile, stavolta nella baia di Chesapeake nel Maryland. A farne le spese sono stati circa 2 milioni di pesci tamburo. Stando alle dichiarazioni di Dan Stoltzfus, portavoce del dipartimento ambiente del Maryland, il tutto sarebbe riconducibile al brusco abbassamento di temperatura degli scorsi giorni essendo i pesci tamburo particolarmente sensibili al freddo. «C’è stato un freddo che non si vedeva da 25 anni» avrebbe dichiarato Stoltzfus. Anche in Nuova Zelanda, sono stati rinvenuti pesci morti sulle spiagge della penisola di Coromandel, affamati a causa delle avverse condizioni meteorologiche, secondo il Dipartimento per la Conservazione. Un altro caso in Brasile: un quintale tra pesci gatto, sardine e ombrine sono stati ritrovati morti. Il mistero si fa più fitto quando arriva la notizia della morte di centinaia di altri uccelli, trovati nei pressi di Baton Rouge in Lousiana il 4 gennaio. A circa 400 km dalle altre due località dell’Arkansas già salite agli onori della cronaca, stavolta lungo la Route 1 in zona Pointe Coupee Parish sono caduti circa 500 tra merli, storni e altri volatili. Moltissimi avevano becco e ali rotte e segni di ferite: si ritiene che siano andati contro le linee elettriche a causa della scarsa visibilità notturna.
Il veterinario Jim LaCour, che sta seguendo il fenomeno nella zona, fa notare che casi simili si sono registrati in passato, sebbene con meno vittime. Tra le cause, sostiene, ci sarebbero «malattie, fame e fronti freddi dove gli uccelli non possono tenersi caldi». Paul Slota dello U.S. Geological Survey per il National Wildlife Center del Wisconsin rende noto che negli ultimi 10 anni sono stati riportati 188 casi di morie di uccelli, con più di mille capi ogni volta. Ma grazie ad internet, sostiene l’esperto dell’USGS, «più sono riportati eventi del genere, più la gente si interessa» vedendo magari collegamenti dove non ce ne sono. D’altra parte, continua Slota, «il declino di certe specie animali selvatiche è davvero preoccupante, ma non attira attenzione». Come accaduto per la sindrome del naso bianco, causata da un fungo, che ha ucciso ben un milione di pipistrelli da tre anni a questa parte solo negli Usa.
Altri episodi simili sono accaduti in giro per il mondo, sebbene non in grande stile come negli Usa. A Falköping, cittadina circa 100 km da Göteborg, una cinquantina di corvi – alcuni ancora vivi – sono stati trovati a terra. Anche qui, secondo esperti locali, potrebbero essere stati i fuochi d’artificio a spaventarli e tramortirli. Disorientato, lo stormo sarebbe atterrato in strada, finendo vittima delle automobili. Nemmeno la nostra penisola è immune dalla strage di volatili. Circa 400 tortore trovate morte nella zona di Faenza, in provincia di Ravenna. La Forestale ha trovato i corpi vicino ad una distilleria che produce oli alimentari. L’Istituto Zooprofilattico sperimentale di Lugo ha avviato accertamenti, con analisi anche sulle granaglie stoccate nella distilleria, di cui gli uccelli sono ghiotti. Ma altre specie, che si cibano nell’area sempre degli stessi semi di mais, girasole e cereali, non hanno avuto problemi. A Marcianise, in provincia di Caserta, circa 200 storni sono stati poi ritrovati il primo dell’anno sulla Sannitica, nei pressi di un cinema. In questo caso si propende per ingestione di sostanze tossiche, o per una salmonellosi, ma deve ancora arrivare il responso degli specialisti.
Si attendono i risultati delle analisi per avere informazioni più chiare, qui come per gli altri casi. Mentre il gossip giornalistico fa uscire dal cilindro altri episodi, alimentando l’onda mediatica e forse anche una strisciante psicosi. E’ probabile che altri ne salteranno fuori, messi insieme quasi come tessere del mosaico di un complotto su scala mondiale. O come segnali che nasconderebbero chissà quali prospettive epocali sulla sorte dell’umanità. Ad occuparsi in Italia delle analisi del caso eseguendo esami virologici è il dottor Frasnelli, l’indagine è volta ad accertare se dietro la causa della morte delle tortore vi siano malattie conosciute.  Finora l’ipotesi avanzata per il caso di Faenza è che si tratti di un’epidemia virale, ma che non dovrebbe rivelarsi pericolosa per l’uomo. Ciò dovrebbe far riflettere piuttosto su una cosa: quanto sia fragile l’equilibrio della vita sul nostro pianeta. E come dovremmo cercare di tutelarlo, indagando sulle cause che anche noi possiamo contribuire a creare.

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