IL FATTO. maltrattamenti
Il marito maltratta ripetutamente la moglie per quattro anni, anche in presenza del figlio.
La moglie denuncia il marito per il reato di maltrattamenti in famiglia, ex art. 572 cp.
L’uomo viene rinviato a giudizio e condannato in primo e secondo grado.
Decide di ricorrere in Cassazione eccependo che la Corte d’Appello nel rideterminare la pena, aumentandola ad un anno e 8 mesi di reclusione, non ha tenuto nel debito conto la circostanza relativa ad un unico episodio in cui la moglie ha reagito ai maltrattamenti subiti costantemente dal di lei marito.
La Corte di Cassazione respinge il ricorso, dichiarandolo inammissibile e condannando il marito al pagamento delle spese di giudizio.
I MOTIVI DELLA DECISIONE.
Con sentenza resa dalla Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, n. 20630 del 15 maggio 2023, i Giudici di legittimità hanno ritenuto inammissibile il ricorso presentato dal marito, poiché non provata la asserita reciprocità delle offese.
In altre parole, a fronte del raggiungimento della piena prova circa la continuità e quotidianità dei maltrattamenti posti in essere dal marito in danno della moglie (supportata non solo dalle dichiarazioni della donna ma anche dalla testimonianza, precisa e circostanziata, del figlio della coppia) è totalmente mancata la prova della reciprocità dei comportamenti vessatori.
La Corte, infatti, ai fini del riconoscimento di tale presupposto, ha ritenuto insufficiente la sussistenza di un unico episodio, riferito dal marito, in cui la donna, esausta e provata dalle continue umiliazioni dell’uomo, trovava la forza ed il coraggio di reagire.
Ai fini del requisito della reciprocità occorre infatti, secondo l’orientamento prevalente cui anche stavolta gli Ermellini hanno aderito, l’elemento della equivalenza sia del grado di intensità che di gravità delle offese arrecate dal soggetto reagente nei confronti di quello maltrattante.
Solo nel caso in cui le condotte dei due soggetti si equivalgono per intensità e gravità, infatti, può escludersi, secondo la Corte, “che vi sia un soggetto che maltratta l’altro ed uno che è maltrattato, né che l’agire dell’uno sia teso, anche dal punto di vista soggettivo, ad imporre un regime di vita persecutorio ed umiliante”.
Aggiunge inoltre la Corte che, la fattispecie di cui all’art. 572 cp non prevede il ricorso a forme di autotutela di carattere sostanziale, di modo che risulta esclusa qualsiasi forma di “compensazione” fra condotte penalmente rilevanti poste in essere reciprocamente e richiama sul punto un’altra recente pronuncia del 2020 la n. 12026 resa dalla terza sezione penale, che pure ribadiva tale principio.
Conclude infine il Giudice di legittimità che, ogni qualvolta il Legislatore italiano ha inteso riconoscere rilevanza penale alla c.d. reciprocità delle offese, lo ha fatto espressamente e ciò diversamente da quanto accade nel caso di specie, ove l’elemento della reciprocità non risulta disciplinato dal più volte richiamato art. 572 c.p. in materia di maltrattamenti in famiglia.
Avv. Samantha Soricone
Avvocato matrimonialista del Foro di Roma
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