C’è un posto che non smetterò mai di abitare, si chiama Pescoluse Marina di Salve. È un posto che conosco minuziosamente. Lì ho trascorso gran parte delle mie vacanze estive. Lì ho progettato i miei interessi. I miei sogni: la scrittura.
Ecco, l’odore della liquirizia (l’elicriso) mi accompagna nell’estate del 1988. Non ho ancora compiuto 18 anni.
Sono davanti a quella che era la mia casa (in via Benedetto Croce), il canto delle cicale diventa un concerto che accompagna il giorno verso l’ora blu. Ho i capelli bagnati. Sono in ansia perché devo chiamare nonno Giovanni. Nella zona ci sono solo due cabine telefoniche.
Entro in casa, prendo i gettoni da un contenitore di porcellana. È una vecchia bomboniera che abbiamo portato dall’Irpinia. Cerco di capire, di calcolare – con i gettoni in mano – il tempo che ho a disposizione per parlare al telefono.
Mi avvio verso una delle due cabine. Scelgo quella accanto a un bar che è anche un supermercato. Il frastuono dei miei zoccoli di legno disturba i miei pensieri. Lungo la strada passano tante auto. Guardo il terreno incolto e scuro (ora anche lì sono state costruite delle case). Da lontano vedo una fila interminabile di persone davanti alla cabina telefonica. Mi metto in fila.
La gente parla, chiacchiera di qualsiasi cosa. C’è una signora che ha le spalle che sembrano due pomodori immensi. È insofferente per la scottatura.
Io ho un desiderio irrefrenabile di raccontare a mio nonno come sto trascorrendo le vacanze. Di raccontare del mare, dei gigli sulle dune. Dei piccoli trulli che dormono da anni. Della Cappella di San Leonardo. E di quello strano profumo di liquirizia che invade la stradina di casa.
Le telefonate della gente in fila sono interminabili. Un tizio racconta a un suo collega di quanto tempo trascorre a nuotare. Spiega le varie tecniche che usa. Comprendo che è un nuotatore esperto. Poi racconta della sabbia dorata e del mare cristallino.
Da lontano mi arriva la musica del jukebox del bar “La baia delle sirene”: Gimme Five di Jovanotti (premio rivelazione al Festivalbar).
Qualcuno canticchia. Lo faccio anche io a bassa voce.
L’attesa è stata e sarà sempre il mio punto debole. Chiudo gli occhi. Penso alla fortuna che ho di avere una casa al mare in un posto bellissimo.
Arriva finalmente il mio turno. Capisco, però, che ho i minuti contati. Dietro di me la fila è raddoppiata. Infilo il primo gettone, nonno risponde dopo cinque squilli. È felice di sentire la mia voce.
“Nonno, mi manchi”
“State bene?”
“Sì, stiamo bene. Papà, ieri sera, ci ha portato a Gallipoli a mangiare il gelato. C’era tanta gente in giro.”
“Bene. Oggi sei andata alla Cappella di San Leonardo?”
“No. Ci andrò domani.”
“Vedi che all’interno c’è un segreto.”
I miei minuti di conversazione finiscono così. La fila di gente è insofferente, brontola. Chiudo la telefonata salutando il nonno.
Ritorno a casa. La cena è quasi pronta. Dico a mia madre che devo andare per un secondo nella Cappella di San Leonardo.
Inizio a correre. Il buio ha quasi coperto ogni cosa. La Cappella è aperta. Entro piano. “Dov’è il segreto?”, ripeto ad alta voce. Resto per diversi minuti senza respirare. Poi arriva papà. Mi dice che dobbiamo andare. La cena è in tavola. Lo guardo. Lui sorride. Il suo sguardo è assorbito dalla bellezza di Pescoluse.
Dov’è il segreto, ripeto ancora oggi. Forse è quello di custodire quel luogo nel mio tempo, ora che anche papà non c’è più.
In fondo Pescoluse è il posto che lui ha amato di più.