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Se la positivizzazione sfocia nell’omologazione

La tendenza alla positivizzazione di ogni ambito della vita è causa di uno spedito degrado verso l’omologazione e l’atto (vacuo) della consumazione fine a se stessa.

Positivizziamo l’amore, come formula di godimento istantaneo, addomesticato, alieno alla caduta, alla ferita e alla follia; positivizziamo il lavoro, come obiettivo euforizzante e massimamente lucrativo; positivizziamo le relazioni sociali non già cercando il confronto, ma il consenso acritico, le conferme adulatorie; positivizziamo la salute attraverso una apologia isterica del cibo sano e dell’attività fisica salvavita.

Di contro, abbiamo ostracizzato il negativo, perché non sappiamo più accettarlo.

Rifuggiamo a ogni costo il dolore, la vecchiaia, il disfacimento, il fallimento, la deformità, la goffaggine, la frustrazione, la critica, il rimprovero, il rifiuto, e, naturalmente, la morte.
Rifuggiamo la negatività persino allo stadio del rischio potenziale.
In altri termini, salvaguardiamo ogni esperienza dal negativo, causandone il mutamento in gesto di pronta consumazione, sulla via di un allontanamento definitivo dall’Assoluto, dal Sublime.

Gli sforzi di positivizzazione hanno una matrice molto intuitiva: il narcisismo che affligge, a diversi livelli, la maggior parte di noi.
Narcisismo che comporta l’esclusione dalla nostra orbita vitale – quella autentica dello spirito – dell’Altro.

L’Altro, oggi, esiste come conferma di noi stessi, del nostro valore.
L’Altro è strumento di autoaffermazione, non più destinatario di un interesse disinteressato.
Non creiamo un rapporto con l’Altro, lo consumiamo, in un atto d’amicizia, d’amore, di sesso.
E l’Assoluto, a poco a poco, si sfalda nel volto dell’utopia.

di Maura Baldini

positivizzazione

omologazione

psicologia

ottimismo

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