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Letteratura e teatro in corsia: intervista a Rosalba Panzieri

di Mario Masi
“Vi sono tre cose reali: Dio, la follia umana ed il riso: dato che le prime due oltrepassano la nostra comprensione, dobbiamo fare quello che possiamo con la terza.” Così recita un passo del testo sacro indiano Ramayana.
I primi a utilizzare il sorriso nelle corsie degli ospedali sono i ‘Clown Doctors’ che compaiono negli Stati Uniti negli anni ’30. Micheal Christensen e Paul Binder, dopo aver osservato dei gruppi di clown che durante le epidemie di poliomielite assistevano i giovani ammalati, danno vita nel 1978 alla ‘The Clown Care Unit’.
Il fenomeno dei clown in corsia viene conosciuto dal grande pubblico nel 1998 grazie al film ‘Patch Adams’, in cui Robin Williams interpreta la vita del celebre pediatra e clown americano.
Patch durante il ricovero da adolescente in un istituto per malattie mentali a causa di una depressione scopre la possibilità di guarigione grazie a un approccio olistico fondato sulla cura della persona e non della malattia attraverso il sorriso. Dopo la laurea ad Harvard, nel 1971 fonda il Gesundheit: Institute, una clinica poco ortodossa che subisce una forte resistenza da parte dell’opinione pubblica.
“Ho sempre pensato che fosse strano e triste il fatto che le persone non abbiano alcun problema a comportarsi in modo rabbioso o burbero, ma che siano imbarazzate dal dover mostrare sentimenti positivi”, spiega Patch. “Sappiamo tutti quanto sia importante l’amore, eppure, con quale frequenza viene provato o manifestato veramente? I mali che affliggono la maggior parte dei malati, come la sofferenza, la noia e la paura, non possono essere curati con una pillola”.
Ma le terapie accessorie non si fermano al sorriso. La scrittrice e attrice Rosalba Panzieri in collaborazione con il prof. Massimo Santini, direttore del dipartimento cardiovascolare dell’ospedale San Filippo Neri e presidente della società mondiale di aritmologia, e il prof. Vincenzo Loiaconi, primo cardiochirurgo, hanno dato vita a ‘Letteratura e teatro in corsia’, primo laboratorio di ricerca stabile in Italia per umanizzare le terapie attraverso l’arte.
Una novità nel panorama sanitario italiano, poiché per la prima volta letteratura e teatro entrano nelle corsie degli ospedali come strumenti di ricerca scientifica.
Abbiamo intervistato Rosalba Panzieri per capire meglio il suo progetto.
Come nasce ‘Letteratura e teatro in corsia’?
Nasce in seno a “il disegno sul cuore” monologo che racconta il rapporto tra paziente e cardiochirurgo, vincitore di diversi premi internazionali, premiato nel 2010 in Campidoglio e presentato alla stampa sempre in Campidoglio a marzo del 2011, quale spettacolo teatrale per l’umanizzazione della medicina. Dopo essere stato rappresentato in diversi teatri, tra cui il Quirino, lo spettacolo ha iniziato il suo tour nei maggiori ospedali d’Italia, partendo dal S.Filippo Neri di Roma. Proprio mentre ero in tour, affiancata da cardiologi e cardiochirurghi straordinari, ho scoperto di dovermi sottoporre ad un intervento di chirurgia cardiaca per una malattia che, pur non dandomi alcun sintomo, mi poneva a rischio di vita. Tutto questo avveniva poco dopo essere stata presentata come esordiente dell’anno alla kermesse nazionale “libri da scoprire”, dove mi veniva affidata la chiusura dell’evento con “tango sola”- Arpanet Edizioni, insieme a scrittori quali Andrea De Carlo, Barbara Alberti, Oliviero Beha, Cinzia Tani. E’ stato quasi un debito di carne che l’arte mi poneva di saldare, quasi un tributo per arrivare davvero in fondo al senso comune dei miei spettatori, che in ospedale guardavano, con la stessa partecipazione di chi l’arte la vive sulla pelle, “il disegno sul cuore”. Affrontando in prima persona le emozioni e le sofferenze dei pazienti, ho scoperto quanto la letteratura, mai rinunciata fino al momento operatorio, sia uno strumento potentissimo di consapevolezza, di decompressione interiore e quanto il teatro sia il mezzo per rendere in corpo per sé e per gli altri quelle lettere impresse sulla carta.
Quali obiettivi si pone?
Quelli di dipanare verità, restituire l’uomo al sentimento dell’incontro, che è preludio e sostegno alla scienza, fondamento altretanto importante nella guarigione dell’azione chirurgica. La parola è pensiero che diventa materia, e sono convinta sia il primo veicolo di conoscenza di sé e degli altri, il primo elemento per tornare ad una medicina che mette l’uomo al centro della sua ricerca. L’obiettivo è quello quindi di umanizzare la medicina, far sì che medico e paziente tornino a guardarsi come individui che vivono la stessa solitudine e che insieme, riconoscendosi come persone e come alleati possono superare la malattia e tornare alla guarigione. I pazienti attraverso la scrittura raccontano il momento che vivono, regalano parti della loro vita, così fanno i medici e tutto il personale ospedaliero che volontariamente aderisce. Alcuni si raccontano soltanto e scrivo io per loro. Tutte queste testimonianze, sono delle vere e proprie cartelle cliniche dell’anima, e con tale dignità vengono trattate, integrandole alle cartelle cliniche ufficiali perché la patologia sia parte dell’individuo, mai il contrario. Lo spazio ospedaliero poi si trasforma in superficie teatrale perché le esperienze di medici e pazienti, elaborate in forme drammaturgiche, possano essere rappresentate e raccontate per catarsi, per rassicurazione, per presa di consapevolezza di una malattia che può sempre diventare opportunità di conoscenza, tanto degli altri quanto di sé stessi. Sostengo con sempre rinnovata convinzione che muoversi verso l’altro, guardare con maggior fiducia all’altro riporta poi a guardare nel proprio animo con apertura maggiore, dandosi così l’opportunità di sciogliere nodi, superare limiti e paure che impediscono di vivere appieno la vita.
Ci parla dell’esperienza all’Ospedale San Filippo Neri?
E’ stato il primo ad accogliere il mio progetto, grazie alla disponibilità del Direttore Generale Domenico Alessio. Ed è l’ospedale in cui ho trovato i miei compagni di viaggio: il Prof. Massimo Santini, direttore del Dipartimento Cardiovascolare e Presi raccontano, Presidente della Società Mondiale di Aritmologia, e il Prof. Vincenzo Loiaconi, cardiochirugo Direttore della Chirurgia delle Aritmie, colui che per primo è entrato in scena con me.
Come reagiscono i pazienti?
Anche quelli inizialmente più reticenti reagiscono con profonda fiducia e partecipazione, si denudano dei silenzi della sofferenza per mostrarsi, per dare prima ancora di ricevere. E’ difficile raccontare restituendo giustizia, quando è profonda la partecipazione di chi sta per affrontare un’operazione al cuore, quanto il tempo che concede in questa ricerca per migliorare la qualità del rapporto medico-paziente, sia tempo di valore incommensurabile. Provi chi mi legge a immaginare di condensare in una settimana tutto quello che vorrebbe fare in una vita perché sta per entrare in sala operatoria. Ecco non so come altro dirlo.
Dove sarà prossimamente con i suo laboratorio?
Il laboratorio parte dal S.Filippo Neri, come progetto pilota, ma la volontà è quella di esportarlo in molti ospedali che già ne stanno facendo richiesta.
 

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