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Wikileaks e i retroscena della diplomazia americana

Julian Assange

Di Paolo Cappelli

Iniziano a scatenarsi le reazioni relative alla pubblicazione dei documenti diffusi in rete da Wikileaks. Si tratta, per lo più, di dichiarazioni legate ai rapporti tra Stati Uniti e resto del mondo. Nello specifico, i documenti riguardano le pressioni che Arabia Saudita e i paesi del Golfo avrebbero esercitato sugli Stati Uniti per annichilire la potenziale pericolosità di un Iran nucleare. Re Abdullah, monarca dell’Arabia Saudita, avrebbe chiesto ripetutamente agli Stati Uniti di attaccare l’Iran e porre così fine al relativo programma nucleare, anche sulla base della percezione che gli stati arabi alleati degli USA hanno della pericolosità della situazione.

Le rivelazioni, contenute in memorandum confidenziali provenienti dalle ambasciate statunitensi di tutto il Medio Oriente, rivelano i tentativi nascosti di contenere le aspirazioni nucleari iraniane. Un eventuale bombardamento delle relative infrastrutture viene però visto come una extrema ratio che potrebbe scatenare un conflitto di proporzioni ben più ampie. I messaggi provenienti dai rappresentanti diplomatici evidenziano anche lo stato di agitazione da parte israeliana e i tentativi ripetuti e insistenti di influenzare la politica americana nella regione. Il ministro della difesa israeliano, Ehud Barak, ha detto nel giugno 2009 che esisteva una finestra d’opportunità tra 6 e 18 mesi per intervenire e fermare l’Iran. Dopo tale periodo, “qualsiasi soluzione militare avrebbe determinato danni collaterali inaccettabili”.

Altri aspetti, non meno significativi, dei documenti pubblicati da Wikileaks riguardano le pressanti richieste, avanzate da funzionari giordani e bahreniti, di fermare il programma nucleare iraniano con qualsiasi mezzo, anche considerando l’opzione militare; le etichette di “malvagio” e di “minaccia esistenziale che potrebbe portarci alla guerra”, attribuite all’Iran da parte dei leader dell’Arabia Saudita, degli Emirati Arabi Uniti e dell’Egitto; e le preoccupazioni del Segretario di Stato USA alla Difesa Robert Gates, il quale aveva già detto a febbraio che, in caso di fallimento degli sforzi diplomatici, si “rischierebbero una proliferazione nucleare in medio oriente, o una guerra scatenata da un intervento israeliano, o entrambi”. Al riguardo, il Capo dell’intelligence israeliana, Amos Yadlin, aveva già ammonito, lo scorso anno, che “Israele non è in posizione da sottovalutare l’Iran e potrebbe essere sorpresa da un attacco, come lo furono gli Stati Uniti l’11 settembre 2001″.

Le reazioni da parte iraniana sono però diverse da quelle che ci si potrebbe aspettare. Il presidente Ahmadinejad, nel corso di una conferenza stampa, ha dichiarato che i documenti diffusi riguardo all’Iran fanno parte di un complotto organizzato dagli Stati Uniti. Rispondendo a una specifica domanda sulla diffusione delle notizie, ha detto al giornalista: “Devo innanzitutto correggerla: il materiale non è oggetto di una ‘rivelazione incontrollata’ ma è stato diffuso sulla base di un piano preciso. L’Amministrazione americana ha divulgato documenti che non hanno alcun valore legale e ciò non conseguirà lo scopo auspicato. I rapporti tra i Paesi della regione sono di amicizia e un tale subdolo tentativo non avrà alcun effetto sulle relazioni diplomatiche. E’ stato qualcuno all’interno dell’Amministrazione americana a produrre questi documenti, che riteniamo vengano diffusi sulla base di uno schema preciso, mirato al conseguimento di obiettivi politici”.

Sul versante dell’ipotesi di spionaggio ai danni delle Nazioni Unite, l’ex ambasciatore britannico in Uzbekistan e ora attivista per i diritti umani, Craig Murray, ha rincarato la dose, affermando che anche il servizio di intelligence di Sua Maestà avrebbe avuto un suo ruolo. In una versione non ridotta di un proprio articolo, pubblicata sul proprio sito personale, afferma: “non mi sorprende che i diplomatici statunitensi siano complici dell’attività di spionaggio nei confronti del personale delle Nazioni Unite. Lo hanno fatto anche i britannici e una donna molto coraggiosa, Katherine Gunn, è stata rimossa dal suo incarico per aver tentato di bloccare la cosa.” Mentre i messaggi divulgati fino a questo momento non contengono rivelazioni in grado di sorprendere i bene informati, un impatto forte potrebbe averlo la rivelazione delle informazioni alle popolazioni arabe, che verrebbero così a conoscenza di quanto sono state tradite dai propri ‘leader fantoccio’ sostenuti dagli USA.

E l’Italia?
Nell’articolo già pubblicato da Itali@Magazine avevamo indicato le preoccupazioni avanzate dal numero uno della diplomazia tricolore, il Ministro Franco Frattini, riguardo agli effetti che i documenti potevano avere nel panorama mondiale della diplomazia. Tuttavia, in molti casi (e se n’è accorto anche ‘Der Spiegel’), le informazioni divulgate non rivelano nulla di nuovo o di particolarmente scottante. Sul Corriere della Sera di oggi, Frattini ha rilasciato un’intervista, affermando che “bisogna indagare sulla fuga di notizie: una cosa sono i ‘rapporti riservati’ degli ambasciatori ai loro governi, un’altra la ‘policy’ ufficiale di questi ultimi. […] Wikileaks vuole distruggere il mondo. La comunità internazionale, quella vera, quella che vuole migliorare il mondo e non distruggerlo come vuole Wikileaks, deve reagire compatta senza commentare, senza retrocedere sul metodo della diplomazia, senza lasciarsi andare a crisi di sfiducia che, se diventasse sfiducia reciproca, potrebbe bloccare collaborazioni fondamentali per risolvere le grandi crisi che vi sono nel mondo […] Devo dire – ha aggiunto – che molte notizie che abbiamo letto sul premier, erano già uscite sulle prime pagine di giornali di opposizione da molto e molto tempo”.

Insomma il fatto sarebbe che Wikileaks diffonde sì notizie, ma che gran parte di queste non sono una novità. Inoltre, il premier Berlusconi, che inizialmente ha commentato con una risata quanto divulgato in rete, ha aggiunto oggi: “non guardo a quello che rivelano funzionari di terzo o quarto grado, rivelazioni che vengono riportate dai giornali di sinistra”, riferendosi ai ‘festini selvaggi’, alle dichiarazioni che riguardano i suoi rapporti internazionali con il presidente russo Vladimir Putin e il leader libico Muammar Gheddafi, del quale è proprio oggi ospite.

E sono proprio i rapporti con Putin e Gheddafi, gli affari di Finmeccanica, le trattative per il rilascio del giornalista Mastrogiacomo e i dubbi sulle versioni di alcuni incidenti che hanno coinvolto le forze militari italiane, sono solo alcuni temi per cui il governo rischia lo scandalo.  Di certo dopo l’ultimo uragano scatenato da Wikileaks vien da chiedersi quale sarà la prossima mossa di Julian Assange, ormai considerato uno dei nemici più pericolosi dalla Casa Bianca.

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