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L'Occidente e l'ascesa del terrorismo wahabita. Intervista a Fulvio Scaglione

Giornalista professionista da oltre vent’anni, vicedirettore di Famiglia Cristiana dal 2000 al 2016, Fulvio Scaglione è una voce attenta e autorevole sulla questione mediorientale che ha seguito da vicino per anni come inviato di guerra, così a Mosca, in Afghanistan e in Iraq è stato un puntuale e lucido osservatore dei conflitti politici e religiosi. Molte le sue collaborazioni con altre importanti testate nazionali come “Avvenire”, “Limes”, “L’Eco di Bergamo”,Micromega”, “EastWest” e “Lo Straniero” e siti come “Occhi della guerra” e “Eastonline”. Tra i suoi libri ricordiamo Bye bye Baghdad (2003), La Russia è tornata (2005) e I cristiani e il Medio Oriente (2008), mentre ha da poco visto la luce il suo libro: Il Patto con il diavolo, in cui Scaglione passa in rassegna con perizia di argomentazioni e di dati le responsabilità occidentali nel climax di terrore in Medio Oriente ad opera dei fondamentalisti e dell’Isis. Abbiamo parlato con lui di alcuni passaggi significativi del suo saggio.
Il suo ultimo libro si intitola ”Il Patto con il diavolo”. Chi sono i protagonisti di questo patto e che strategia persegue?
Ho intitolato il libro “Il patto con il diavolo” perché se si esamina senza pregiudizio la storia del Medio Oriente dell’ultimo secolo si nota facilmente il filo rosso che lega certe scelte strategiche, tutte orientate nello stesso senso e tutte destinate a produrre conseguenze opposte a quelle dichiarate: non a caso in Medio Oriente, oggi, c’è sempre meno democrazia, meno benessere, più guerra, più fanatismo. I contraenti di questo patto sono le potenze occidentali (all’inizio soprattutto Francia e Gran Bretagna, poi gli Usa) e gli esponenti politico-religiosi di spicco dell’islam sunnita, in particolare le petro-monarchie del Golfo Persico.
La sua accurata indagine sulla crisi mediorientale muove a partire dall’accordo di Sykes-Picot, una sorta di peccato originale occidentale. Perché?
Per raccontare tutto questo sono partito dal Trattato Sykes-Picot del 1916 (in maggio è ricorso appunto il centenario) per diverse ragioni. La prima è che proprio quel Trattato fa nascere il Medio Oriente come noi lo conosciamo e intendiamo. Prima c’era l’impero ottomano, una struttura con le sue crisi e i suoi difetti ma che comunque aveva retto per secoli. Il Trattato Sykes-Picot distrugge quella struttura senza edificarne una nuova. Cosa che gli stessi protagonisti avevano ben presente. Un esempio: il diplomatico francese Picot, a proposito dell’accordo raggiunto sulla Palestina, scrisse che era la maniera migliore di garantirsi futuri disastri. La seconda ragione è che, mentre nessuno o quasi nessuno in Occidente sa che cosa fu il Trattato Sykes-Picot, in Medio Oriente qualunque ragazzo delle medie sa di che cosa si tratta. Magari in maniera molto ideologica, molto anti-occidentale, ma lo sa. E ogni tanto è necessario rendersi conto che anche gli “altri” hanno un’opinione, una visione del mondo. E può essere utile tenerla presente.
Molti analisti ed osservatori ritengono che si possa applicare al Medio Oriente una soluzione sul modello dei Balcani. Lei la ritiene valida?
No, penso che sarebbe un disastro aggiunto al disastro. Intanto perché sui Balcani ci facciamo qualche illusione. Oggi, da quelle parti, sono ancora dispiegati più di 30 mila tra poliziotti e soldati di altri Paesi, incaricati di tenere l’ordine. In Kosovo, poi, c’è la più grande base militare Usa fuori dai confini americani e il Kosovo è il Paese d’Europa con la più alta percentuale di foreign fighters con l’Isis per abitante. Ma poi, “balcanizzare” il Medio Oriente secondo linee etnico-religiose farebbe sparire le minoranze (prima fra tutte quella cristiana, visto che non sarebbe previsto uno Stato “cristiano”) e scatenerebbe altre guerre. Se, per ipotesi, in Iraq nascessero tre Stati (uno per i curdi, uno per gli sciiti, uno per i sunniti), che cosa diremmo poi ai palestinesi? A voi lo Stato no perché siete più brutti degli altri? Che cosa diremmo a quel 65% di sciiti che in Bahrein vivono sotto l’autocrazia del 15% sunnita? Che cosa diremmo al 20% di sciiti, tutti concentrati nella stessa area dell’Arabia Saudita, che vivono sotto l’oppressione dei sunniti wahabiti?
I quattro maggiori importatori di armi nel mondo sono: India, Arabia Saudita, Cina ed Emirati Arabi. Tra i temi centrali affrontati dal libro quello di una longa manus saudita che alimenta e incoraggia il terrorismo islamico. E’ così?
Non c’è dubbio che l’Arabia Saudita, nel corso dei decenni, abbia investito una quantità enorme di soldi pubblici e privati per promuovere nel mondo l’islam wahabita, a sua volta culla di tutti gli estremismi. Nel libro cito, tra i tanti dati e documenti, anche la lettera del 30 dicembre 2009 in cui Hillary Clinton, allora segretario di Stato degli Usa, scrive: “L’Arabia Saudita resta una base decisiva di supporto finanziario per Al-Qaeda, i talebani, Lashkar-e-Taiba e altri gruppi terroristici, compreso Hamas”, e aggiunge: “I donatori privati dell’Arabia Saudita costituiscono la più significativa fonte di finanziamento per i gruppi del terrorismo sunnita nel mondo”. Nulla è stato fatto per cambiare questa situazione. Anzi, la signora Clinton, che probabilmente diventerà presidente degli Usa, ha proprio i sauditi tra i principali finanziatori della propria Fondazione”.
Nel suo libro si parla anche di “baby boom” mediorientale tra le cause delle primavere arabe. Puo’ spiegarci perché?
A partire dalla metà degli ani Settanta e fino agli anni Novanta, il Medio Oriente ha vissuto un continuo baby boom. Oggi il 35% degli abitanti della regione ha meno di 30 anni. Parliamo di circa 120 milioni di persone, in generale in possesso di un titolo di studio. Giovani che si sono trovati di fronte società inefficienti, corrotte, immobili anche dal punto di vista politico (Gheddafi rimase al potere 42 anni in Libia, Mubarak più di 30 in Egitto, Ben Alì in Tunisia e Saleh nello Yemen idem). Le primavere arabe sono state, anche, il tentativo di far saltare questo tappo. E alla stessa fenomenologia appartiene anche l’arruolamento di tanti giovani nelle file dell’estremismo islamico. Una risposta “occidentalizzante” e una “islamizzante”, per generalizzare, che partono dallo stesso problema.
La crescita del fondamentalismo islamico ha causato un aumento esponenziale delle violenze contro le comunità cristiane in Medio Oriente. Come valuta un’Europa che ostenta il valore della tolleranza e della libertà religiosa, ma che pare reticente sulle sofferenze delle minoranze cristiane?
L’Europa, ma l’Occidente tutto, in realtà non si cura della sorte dei cristiani del Medio Oriente. Tante parole, nessun fatto concreto. Basta notare quanto succede per l’Iraq o per la Siria: viene ascoltato il parere di chiunque tranne che quello degli esponenti delle comunità cristiane locali. In queste settimane è in Italia il parroco di Aleppo, fra Ibrahim al-Sabbagh, che da quasi quattro anni vive sotto le bombe. Non c’è uno dei giornali maggiori che provi a intervistarlo. Questo perché i cristiani del Medio Oriente ci dicono cose che non vogliamo ascoltare, vanno contro i nostri luoghi comuni. E il risultato è questo: se oggi si facesse un referendum tra i cristiani mediorientali su Obama e Putin, il russo vincerebbe a mani basse. Dovremmo rifletterci sù.
Il ruolo di Papa Bergoglio nella crisi mondiale in atto appare sempre più centrale e autorevole. Lei ritiene che il riavvicinamento della Chiesa agli ortodossi possa cambiare gli equilibri geopolitici?
Papa Francesco ha già cambiato gli equilibri, basta pensare a quando intervenne per bloccare l’idea di Obama di bombardare la Siria o a quanto ha fatto per il riavvicinamento tra Usa e Cuba. Certo, l’incontro con il Patriarca della chiesa ortodossa russa ha lanciato un messaggio importante, anche in ambito cultural-politico: non possiamo permetterci di dismettere il rapporto con il mondo ortodosso e, quindi, con la Russia. Altro messaggio che la politica del luogo comune non è capace di raccogliere”.
 
di Anna Esposito
Fulvio Scaglione, Il Patto con il diavolo. Come abbiamo consegnato il Medio Oriente al fondamentalismo e all’Isis., pagg. 204, Bur, 2016, 15 euro

 
 
 

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