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Il 14% del 'mobile gaming' durante il lavoro

Di Pietro Senatore

Ogni anno l’AIAS (Academy of Interactive Arts & Sciences), associazione no profit che incoraggia lo sviluppo dell’intrattenimento elettronico nel mondo, organizza una prestigiosa manifestazione, il D.I.C.E. (Design, Innovate, Communicate, Entertain) rivolto a sviluppatori e produttori dell’industria videoludica. E’ un’utile occasione di confronto per conoscere umori, trend futuri o innovazioni imminenti che interesseranno il mercato del settore: quest’anno l’incontro si è svolto dall’8 all’11 febbraio.

Attualmente i videogiochi per console portatili catalizzano un’attenzione tutt’altro che trascurabile. In un momento in cuil’evoluzione tecnologica va leggermente a rilento (di nuove console casalinghe, non a caso, ancora non se ne parla), il gioco mobile (da Nintendo DS a PSP, fino ad arrivare ad iPod Touch e iPhone) acquisisce un ruolo sempre più rilevante: d’altra parte è il più immediato, vista la costante diffusione di smartphone capaci di ospitare titoli talvolta sorprendenti. Travis Boatman, vicepresidente della divisione mobile di Electronic Arts (colosso statunitense), in un divertente intervento ha sostenuto che esistono cinque falsi miti da sfatare che interessano il mobile gaming:

1) I giocatori del settore si muovono continuamente. In effetti, di primo acchito, potrebbe sembrare che un utente si diverta con le console portatili solo se è in movimento (sul treno, in autobus o a piedi addirittura). Al contrario, Boatman ritiene che questi videogiochi siano fruiti perlopiù a casa: sul divano, a letto e in bagno. Secondo i dati raccolti da una ricerca finalizzata a stabilire i tempi e i luoghi di fruizione del mobile gaming risulta che  il 47 % degli utenti si cimenta in questi giochi a casa, il 12% mentre  viaggia sui mezzi pubblici, il 14% durante il lavoro,  il 7% in bagno, il 3% a scuola e l’1% in aeroporto. Il restante 16% del tempo viene fruito in “vari” luoghi.

2) I giochi mobile sono per giocatori casual. Questi utenti sarebbero quelli che utilizzano i videogame solo come passatempo riempitivo, non come hobby fisso (a differenza, quindi, dei giocatori hardcore). Il vicepresidente ha citato l’esempio della versione di Dead Space (prodotta da EA) per iOS: un coinvolgente videogioco capace di soddisfare le esigenze degli utenti più esperti.

3) Una taglia per tutti. Boatman ritiene che garantire più versioni, per diverse piattaforme, di uno stesso gioco è senza dubbio utile, ma può diventare un’arma a doppio taglio: le conversioni vanno effettuate oculatamente, analizzando il particolare target dei consumatori, le potenzialità del dispositivo o la presenza di un negozio delle applicazioni ben strutturato.

4) I brand non hanno importanza. Punto antipatico, ma perlomeno Boatman è sincero: “Alla fin fine, i brand non sono tutto, ma contano molto” ha dichiarato. Avere cioè alla spalle il nome di un titolo famoso e sfornare il relativo seguito garantisce naturalmente una probabilità di successo superiore. Ben vengano, tuttavia, le nuove proprietà intellettuali (dalle quali, guarda caso, i producer più famosi si tengono spesso alla larga).

5) Meglio di così non si può. E’ una previsione ottimistica quella in cui si lancia alla fine il dirigente EA, ritenendo in particolare che “Esiste un futuro molto luminoso (per i developer più giovani) che iniziano ad aggredire un mondo a loro decisamente familiare”. Ha infine aggiunto: “Viviamo l’alba di qualcosa di grandioso… Penso che in tre anni non riconoscerete lo stato dell’industria mobile”.

E, considerando i ritmi ai quali cresce, è facile credere alle parole di Boatman.

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