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Optogenetica: accendere i neuroni per guarire il cervello

Di Marco Milano

Uno studio di ricerca del MIT (Massachsetts Institute of Technology) promette nuove possibilità terapeutiche per le malattie neurologiche. Già testata su animali da esperimento, la nuova cura si basa sull’uso della luce. Referente delle nuove scoperte è Ed Boyden, protagonista di primo piano nel campo dell’optogenetica – nuovo settore della ricerca biologica, che combina tecniche ottiche e genetiche per studiare i neuroni. La domanda che ha motivato Boyden nei suoi studi è stata “come l’attività elettrica dispecifici neuroni incide su pensieri, sentimenti e comportamento?” Interrogativo non scontato. Sebbene lo studio sulle cellule cerebrali sia iniziato oltre un secolo fa, non si è ancora in grado di stabilire quali neuroni stiano facendo cosa durante una particolare riflessione o un determinato movimento. Per ottenere delle risposte in questa direzione, Boyden ha messo a punto un sistema basato sulla tecnologia a fibre ottiche. Il dispositivo è in plastica, con una forma somigliante a quella di un ‘dente’. Una volta impiantato, ad esempio nel cervello di un topo, i LED terminali delle fibre ottiche indirizzano la luce in un punto selezionato, controllando alcuni aspetti del comportamento dell’ospite. Il funzionamento è garantito da una preventiva modifica di alcune cellule cerebrali con geni che rendono solitamente sensibili le proteine in vegetali, batteri e funghi, operando come pannelli solari biologici. Questo consente di accendere o spegnere i neuroni geneticamente modificati, modulandone l’attività. Nello specifico, quando le proteine vengono colpite dalla luce, vengono attivate delle particolari pompe ed espulsi ioni cloro e potassio, costituenti base dell’equilibrio elettrico di un neurone.

Il successo registrato dai primi test sui topi, può far pensare a future applicazioni per la cura dell’epilessia. Le ‘crisi’ tipiche di questa malattia, infatti, sono dovute ad impulsi anomali di neuroni (un po’ come succede per alcuni malfunzionamenti dei computer), che potrebbero essere disinnescate con l’applicazione di ‘microcateteri’ con fibre ottiche a luce laser. Un’operazione non molto diversa da quanto già tentato farmacologicamente, sebbene più sofisticata e invasiva, e che può consentire il monitoraggio e lo sviluppo degli stessi farmaci. Utilizzando il sistema a fibre ottiche per attivare o disattivare determinati circuiti cerebrali, infatti, si può verificare quali siano coinvolti nell’azione del farmaco e quali sono le variazioni comportamentali. Questo consentirebbe, auspicabilmente, di sperimentare farmaci sempre più efficienti. L’optogenetica potrà vedere ulteriori ampliamenti d’applicazione, definendo non solo il ruolo dei singoli circuiti cerebrali e il malfunzionamento neurali. I meccanismi di collaborazione dei diversi circuiti per il buon funzionamento del cervello potranno essere descritti in maniera più completa, riuscendo così a capire come si perde o altera la memoria, come si decodificano le immagini visive o come può il pensiero comportare il movimento.

Boyden e il suo gruppo lavorano come ingegneri elettronici, analizzando le reti neuronali come i circuiti di un chip. Nell obiettivo di identificare l’algoritmo originale sottostante le funzioni del cervello. Se l’opinione pubblica è già divisa sulla validità di farmaci psichiatrici, le prospettive indicate dai ricercatori del MIT, non mancheranno di aprire discussioni su rischi e benefici delle nuove terapie. Sono già pronte le sperimentazioni sull’attività dei neuroni nelle scimmie: non manca molto.

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