di Monica Capo
C’era, del resto, un certo numero di persone non ancora persuase che questa peste ci fosse. E perché, tanto nel lazzeretto, come per la città, alcuni pur ne guarivano,” si diceua “(gli ultimi argomenti d’una opinione battuta dall’ evidenza son sempre curiosi a sapersi), “si diceua dalla plebe, et ancora da molti medici partiali, non essere vera peste, perché tutti sarebbero morti “. Per levare ogni dubbio, trovò il tribunale della sanità un espediente proporzionato al bisogno, un modo di parlare agli occhi, quale i tempi potevano richiederlo o suggerirlo. In una delle feste della Pentecoste, usavano i cittadini di concorrere al cimitero di San Gregorio, fuori di Porta Orientale, a pregar per i morti dell’ altro contagio, ch’eran sepolti là; e, prendendo dalla divozione opportunità di divertimento e di spettacolo, ci andavano, ognuno più in gala che potesse. Era in quel giorno morta di peste, tra gli altri, un’intera famiglia. Nell’ora del maggior concorso, in mezzo alle carrozze, alla gente a cavallo, e a piedi, i cadaveri di quella famiglia furono, d’ordine della Sanità, condotti al cimitero suddetto, sur un carro, ignudi, affinché la folla potesse vedere in essi il marchio manifesto della pestilenza. Un grido di ribrezzo, di terrore, s’alzava per tutto dove passava il carro; un lungo mormorìo regnava dove era passato; un altro mormorìo lo precorreva. La peste fu più creduta: ma del resto andava acquistandosi fede da sé, ogni giorno più; e quella riunione medesima non dové servir poco a propagarla. (Alessandro Manzoni – I promessi sposi, Capitolo XXXI)
Toccherà al medico legale Cristina Cattaneo ricostruire vita, morte e malattie dei milanesi sepolti nel cuore della città dal 1473 al 1695, compresa quella della prima vittima dell’epidemia di peste del 1630, per intenderci, proprio quella narrata da Alessandro Manzoni nei Promessi sposi. E lo farà nei sepolcri del Policlinico Ospedale Maggiore, una città dei morti che si estende per decine di metri quadrati sotto la cripta di Santa Maria dell’Annunciata.
Dal Giappone arriva, invece, oggi la notizia che circa mille corpi di uomini e donne, deceduti a causa degli eventi catastrofici dell’11 marzo scorso, sono ancora nelle pozze di acqua o tra i detriti attorno alla centrale di Fukushima. L’altissimo rischio di contaminazione per le radiazioni ha finora impedito il riconoscimento delle vittime in tutta l’area evacuata, secondo la polizia locale i cadaveri esposti a livelli elevati di radioattività rappresentano un grave pericolo per chiunque ne venga a contatto. Un altro colpo durissimo per i giapponesi, privati delle loro case, dei loro affetti che non rivedranno più e ai quali non potranno riservare nemmeno degna sepoltura, poiché anche la cremazione, tradizionale rito nipponico, potrebbe diffondere ceneri radioattive. “Aumentare l’accumulo di radiazioni nel lungo termine può essere pericoloso per la salute. Continueremo quindi a monitorare i rischi con la massima vigilanza. Abbiamo inoltre un programma per intervenire prontamente in caso necessario”, ha dichiarato il portavoce del governo, Yukio Edano, mentre le autorità hanno esortato la popolazione civile ad allontanarsi dall’area compresa tra 20 e 30 km dalla centrale di Fukushima. Greenpeace sta premendo per far si che l’evacuazione sia estesa almeno di altri 10 chilometri.