di David Spiegelman
Che Terry Gilliam sia arrivato ad aprire il suo sguardo stranito su Napoli non eccede il ragionevole, è in una certa misura la conclamata sublimazione di una carriera che da sempre, a ben vedere, cercava quella meta. Sorprende piuttosto che il più napoletano dei cineasti, per la vocazione a individuare il comico in fondo al tragico e l’assurdo nel rigore, abbia scoperto soltanto in età più che matura, al culmine di un percorso artistico sempre più originale per linguaggio e tematiche, le sue origini assai diverse da quelle britanniche che fino a oggi gli erano riconosciute. La chiave del paradosso è forse non inopportuna per inquadrare lo stravagante esordio partenopeo di Gilliam, partito dalle farse dei Monty Python – tra Belushi e Benigni – per approdare alla definizione di un universo neogotico alla Tim Burton, arricchito dall’obliquità della prospettiva. In molti si sono affacciati alla città più complessa e inestricabile del Mediterraneo e quindi del mondo classico, tra gli ultimi il paisa’ John Turturro che da tempo investigava sulle sue radici littleitaliane, attraversando i fantasmi di Eduardo per inventarsi un geniale caleidoscopio di musica, sangue, eros e colori, appunto Passione. Ma l’occhio di Gilliam, quello che aveva osservato Las Vegas per coglierne paura e delirio, avrebbe dovuto scavalcare la Napoli che tutti vedono e forse temono, per raccontare una comunità umana che da sempre fa l’amore con la morte, a tratti compiacendosene, a volte disponendosi a quella rassegnazione di chi viva ai piedi di un gigante che da un giorno all’altro potrebbe scrivere nel cielo la parola fine.
Dice molto di Napoli, di quella spesso disconosciuta, la genesi stessa di questo cortometraggio The Wholly Family, girato da Gilliam secondo lo schema della committenza proprio di tempi diversi dal nostro, secondo un mecenatismo di taglio neorinascimentale, fosse o meno dovuto all’ambizione di eternarsi distaccandosi dalla cupa sterilità del denaro. E’ un’azienda agroalimentare, infatti, la Pasta Garofalo, a esercitare la committenza privata di questo piccolo grande film, ancora da scoprire e destinato a una circolazione di culto. Oltre alla figura del regista, sono stati coinvolti nel progetto nomi di alto livello come la costumista Gabriella Pescucci, il direttore della fotografia Nicola Pecorini, l’attrice Cristiana Capotondi e il musicista Daniele Sepe.
«L’Italia, patria di quello che è stato il più grande cinema del mondo, è afflitta adesso da un grande vuoto di idee e di risorse, una povertà di idee e di vedute che influisce anche sul cinema, ed è fantastico che questo vuoto venga riempito da privati che vogliono fare del bene al cinema, anziché usarlo a scopi esclusivamente pubblicitari». Gilliam spiega così l’entusiasmo dell’adesione al progetto napoletano, un lavoro dedicato alla figura magica e orfica di Pulcinella, un personaggio che aveva ispirato tra gli altri uno tra i meno accessibili intellettuali del Novecento come Igor Stravinskij, uno che pretendeva come le sale da concerto fossero aperte soltanto a coloro che possedessero titoli adeguati per valutare appieno le opere proposte, intenzione espressa nel motto «L’ascolto non è per tutti».
Gilliam si dedica alla maschera emblematica di una città che sorge a poca distanza dalla più concreta e plastica rappresentazione dell’Inferno, in una prospettiva per nulla scontata né bozzettistica, in base al suo stile che ricalca quello dei maestri – non a caso italiani – cui ha spesso ammesso di ispirarsi, da Pasolini a Fellini. Non sarà certo il regista anglosassone l’uomo in grado di decifrare il mistero scoperto di Napoli, l’indagatore felice dei suoi segreti. Con intelligenza e sensibilità, l’autore di Tideland e Parnassus non osa addentrarsi nell’oscurità dell’anima di una città che venne adottata da un suo remoto conterraneo, talora revocato in dubbio di esistenza, per enunciare nel cuore della Tempesta la verità per cui noi umani «siamo fatti della stessa materia dei sogni». Rovesciando l’assunto, la storia cinematografica si fa essa stessa più vera della realtà, in una distanza che la rende comprensibile soltanto con la presbiopia del cuore.
Neppure Gilliam, quindi, è riuscito a sfuggire a quella voce del cuore che è il canone principale dell’opera che più di tutte ha avvicinato l’anima nascosta e anzi occulta di Napoli: «Un ben profondo cuore, signore, ma quanto lontano da noi!» esclama infatti un personaggio del Cardillo addolorato, un romanzo che forse Gilliam prima o poi si deciderà a leggere e a trasformare, con le sue mani di lucente artigiano, in un capolavoro di celluloide come lo era stato di carta e inchiostro. «Napoli – dice Gilliam – è caos, è per questo che la amo. Sembra di assistere a una danza tra tutta la gente che la abita, tutti sembrano conoscere le sue regole». Regole che non esistono, perché non c’è normazione dell’arcano che unisce e separa la vita e la morte, mentre Napoli prosegue il suo incantamento di sfinge senza risposte.
Cast Artistico
Madre- Cristiana Capotondi, Padre- Douglas Dean, Il figlio- Nicolas Connolly, Venditore di pastori- Sergio Solli, Pulcinella- Renato De Maria, Pulcinella- Antonino Iuorio, Riparatore di bambole- Nico Cirasola
Cast tecnico
Regia- Terry Gilliam, Sceneggiatura- Terry Gilliam, Fotografia- Nicola Pecorini, Costumi- Gabriella Pescucci e Massimo Cantini Parrini, Musiche- Daniele Sepe, Executive Producer- Gabriele Oricchio ed Amy Gilliam, Line Producer- Simona Vescovi, Montaggio- Mick Audsley, Aiuto regia- Sergio Ercolessi, Scenografia- Elio Maiello, Effetti Speciali Digitali VFX Supervisor- Gaia Bussolati, Edi Effetti- Digitali Milano, Suono- Adriano Di Lorenzo, Foto di Scena- Maria Marin, Prodotto da Pastificio Garofalo, Ideazione progetto PesceRosso Comunicazione e Design, Casa di Produzione Blue Door
Alcune immagini in anteprima sul sito di Pasta Garofalo