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Il Coltan e il telefonino

di Mariano Colla
Che cosa ha a che fare l’oscuro nome coltan con il telefonino?
La storia è lunga ma, per loro fortuna, non tutti la sanno.
Il Coltan è un minerale raro, composto da columbite-tantalite (col+tan) e la gran parte delle riserve mondiali è ubicata nella Repubblica Democratica del Congo (RDC). Altri paesi estrattori il Brasile, l’Australia e la Thailandia. Come detto è una sostanza rara in natura ma è una risorsa essenziale per lo sviluppo delle nuove tecnologie.
In particolare serve alla fabbricazione di: telefoni cellulari, GPS, satelliti, televisori al plasma, consolle per videogiochi, computer portatili, giocattoli elettronici, macchine fotografiche, PDA, MP3, MP4, etc.
Il minerale ha assunto una certa notorietà qualche anno fa, grazie al libro di Alberto Vazquez Figueroa dal titolo “Coltan”. I problemi che il romanzo portava alla luce sono rimasti tali, anzi peggiorati.
Le più importanti multinazionali operanti nel settore delle tecnologie impiegano il minerale quale materiale indispensabile per alcuni sviluppi innovativi, per esempio a ottimizzare il consumo della corrente elettrica nei chip di nuovissima generazione.
In ciò non vi è niente di male, sennonché una riflessione va fatta sull’origine spesso illegale del coltan, ossia sulla sua provenienza da miniere del tutto irregolari e non ufficialmente autorizzate, benché molto diffuse nella RDC e in buona misura tollerate.
Sono luoghi oscuri e tragici in cui vengono adottate modalità estrattive assai poco rispettose dei più elementari diritti umani, ancor prima di quelli del lavoro.
Rapporti internazionali, come quello di “Secondo Protocollo” del 2011, organizzazione mondiale che opera a difesa dei diritti umani, e alcune fonti giornalistiche forniscono immagini e statistiche circa i metodi di lavoro adottati nelle miniere illegali di coltan, laddove vengono ampiamente disattese le più elementari condizioni igieniche, di lavoro e di sicurezza.
Un operaio adulto che lavora in una miniera di coltan riesce mediamente a estrarre circa 1 Kg al giorno di minerale.
Se la paga media di un operaio nella RDC è di circa 10 $ al mese, per chi lavora nelle miniere di coltan lo stipendio può raggiungere livelli superiori, a seconda del tipo di incarico e dell’esistenza o meno di una qualche forma di contratto di lavoro. L’alta richiesta del minerale ne ha fatto schizzare il prezzo ad oltre 500 $ al Kg.
Per accostarsi a condizioni economiche apparentemente attraenti i minatori rinunciano a ogni forma di protezione e diritto, sottoponendosi a condizione di lavoro disumane con effetti deleteri sui livelli sociali ed economici dell’area prossima al luogo di estrazione.
Infatti non sono pochi gli agricoltori che abbandonano i campi alla ricerca di un miraggio economico ingannevole, povere anime che si accompagnano a sfollati e prigionieri di guerra parimenti impiegati nelle miniere a costi ancora più bassi.
Non sono estranei alle condizioni di sfruttamento i bambini, particolarmente utili nella miniere per le loro esili corporature che consentono ai gracili corpi di infilarsi in ristretti condotti sotterranei al cui interno, con le mani, è possibile recuperare il prezioso minerale. Militari senza scrupoli controllano il regolare svolgimento delle attività, pronti a intervenire rudemente per ogni piccolo disservizio.
Molti bambini muoiono a causa delle frane che si determinano nei piccoli cunicoli, oppure per le malattie ingenerate dalla mancanza di igiene. Per loro il duro lavoro procura pochi centesimi al giorno.
Le scuole si spopolano in vista di un facile guadagno che, pur misero, assicura l’utopia della sopravvivenza.
Al fine di delimitare le zone di estrazione il potere economico, sapientemente foraggiato dalle multinazionali o, ancor peggio, da paesi sovrani non si fa scrupolo di richiedere o, meglio, di ordinare spostamenti coatti agli abitanti dei villaggi posti nelle zone critiche di estrazione.
Per estrarre il coltan la RDC non va certo per il sottile per quanto riguarda la tutela dell’ambiente.
Boschi e campi agricoli sono ridotti in paludi acquitrinose, riserve naturali vengono spazzate via senza nessuna attenzione per la flora e la fauna. Un forte aumento nella moria di elefanti e di gorilla, quasi a rischio di estinzione, è un dato più volte richiamato dagli studiosi ambientali.
Problema, quello del traffico di coltan, che non riguarda solo la RDC ma anche paesi confinanti quali Ruanda, Uganda, e Burundi, paesi che in molti casi utilizzano i profitti derivanti dal commercio del minerale per alimentare guerre e terrorismo diffuso.
Il trasporto della preziosa sostanza viene spesso assicurato da portatori che, a piedi, con sulle spalle anche 50 kg di minerale, percorrono strade impervie immerse in una fitta e insalubre vegetazione, a rischio di essere a loro volta depredati da guerriglieri o contrabbandieri.
Le Nazioni Unite (NU) sono state più volte investite del problema al fine di trovare una soluzione all’impiego del coltan di estrazione illegittima.
Alcuni paesi membri delle NU, organizzazioni indipendenti per la difesa dei diritti umani, quali Secondo Protocollo, e comitati di federazione di solidarietà con l’Africa nera hanno, da anni, sollecitato una presa di posizione internazionale contro il così detto “coltan insanguinato” con l’effetto di produrre generici interventi di critica più che di condanna.
Gli interessi economici in ballo sono troppo rilevanti per consentire una drastica revisione delle metodologie estrattive.
Non a caso la Cina fa del consumo di coltan uno dei minerali più importanti della sua strategia “go global”, strategia di approvvigionamento all’estero di materie prime, in particolare dall’Africa.
Oltre alla su menzionata Cina, anche multinazionali quali Nokia, Alcatel, Apple, Nikon, Ericson, Bayer e altre sono citate quali possibili fruitrici del vantaggio economico derivante da una illegale estrazione del coltan.
Nonostante la situazione sia nota da tempo i media internazionali dedicano al problema scarsa attenzione, o per lo meno non quanta esso meriterebbe.
Peraltro il giornalismo d’inchiesta sembra soccombere dinanzi al giornalismo gridato allo scoop che fa notizia immediata.
Ricordo ancora come una rarità il servizio che realizzo su RAI3 la trasmissione Report in merito all’inquinamento petrolifero della foce del Niger, grave esempio di devastazione ambientale in cui, oltre ai poteri economici locali, erano coinvolte la Shell e l’ENI.
Quali soluzioni al problema?
Solo la vibrante protesta delle associazioni umanitarie può indurre qualche cambiamento nella politica dei paesi sovrani, stimolando l’attenzione dell’opinione pubblica. Si tenta di seguire la stessa strada che condusse alla ratifica del protocollo di Kimberley che, in qualche modo, regolò la produzione dei diamanti.
E’ necessario approvare, come suggeriscono i rapporti su citati, “un protocollo di certificazione di provenienza” del coltan e sperare che, quanto prima, ci sia la volontà politica della RDC di intensificare il controllo della legalità sul proprio territorio.
L’Africa è a mezza via tra lo sfruttamento operato dalla colonizzazione occidentale e un’autosufficienza illuminata che le consenta di affrancarsi da dipendenze economiche che ancora avvallano forme di corruzione a scapito di una crescita reale del continente.
Nel frattempo è bene che ognuno, nel suo piccolo, faccia una riflessione in più prima di rinnovare ogni anno il proprio telefonino o il proprio PC.

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