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Un'altra donna giustiziata in Iran

di Maria Rosaria De Simone

25 Ottobre. Ancora sangue. Reyhaneh Jabbari è stata impiccata. Per lei si erano mobilitati in tanti, attraverso una campagna internazionale e tanti appelli accorati per fermare la condanna a morte che dal 2009 pendeva su di lei. reyhaneh2
Sette anni fa aveva infatti ucciso  Morteza Abdolali Sarbandi, un ex impiegato del ministero dell’Intelligence, che aveva tentato di stuprarla. La ragazza confessò l’omicidio, dichiarando fin dall’inizio la motivazione.  Reyhaneh ha sempre dichiarato che aveva agito esclusivamente per legittima difesa. Non poté avvalersi di un avvocato durante la deposizione, fu condannata a morte con sentenza di una corte penale della capitale iraniana nel 2009, sentenza che fu poi confermata dalla Corte Suprema pochi mesi dopo.
La ragazza, alla presenza dei  genitori è stata giustiziata nel carcere di Teheran in cui era segregata. Da fonti collegate ai parenti della giovane il figlio della vittima avrebbe tolto lo sgabello posizionato  sotto i piedi della ragazza. Una scena macabra e di una violenza inaudita.
In molti avevano sperato di poterla salvare attraverso un atto di clemenza delle autorità iraniane, dato che più volte l’esecuzione era stata rimandata. Alcuni artisti iraniani  hanno anche tentato di raccogliere fondi per il “diyeh“, il  prezzo che l’assassino deve pagare alla famiglia della vittima per  commutare la pena capitale in detenzione. Purtroppo questa ipotesi è sfumata.
Reyhaneh ha potuto incontrare, prima dell’esecuzione, la madre che, resasi conto della fine imminente, ha cercato di lanciare un ultimo appello. Le sue parole si sono perse, purtroppo, nel vuoto sordo a qualsiasi atto di pietà.
Ieri mattina sulla pagina Facebook, che era stata aperta per cercare di far conoscere la storia di Reyhaneh e per salvarle la vita, è stata pubblicata la scritta “Riposa in pace”.
Questo non è né il primo né l’ultimo caso di condanna a morte.  Solo quest’anno sono 550 le persone giustiziate nel Paese. Un dato impressionante che purtroppo lascia pochi margini di speranza per gli altri condannati che aspettano l’esecuzione alla pena capitale.

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