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Sembrava una felicità. Piccolo gioiello poco convenzionale

di Antonietta Molvetti
Un lettore è innanzitutto un collezionista, il cui desiderio è arricchire con pezzi di pregio la propria raccolta. E’ andata decisamente bene a chi ha acquistato, “Sembrava una felicità” di Jenny Offill, traduzione di Francesca Novajra, che contrassegna un duplice esordio: quello della Enne Enne, neonata casa editrice milanese e quello della Offill, autrice statunitense al suo debutto in Italia.
La scelta di fondare una nuova attività editoriale, coraggiosa considerando lo stato di salute del settore, reca la firma di Eugenia Dubini e Alberto Ibba, che rivendicano l’indipendenza della loro creatura fin dalla scelta del nome, NN, sigla che compariva sui documenti dei figli di padre ignoto. Tre gli obiettivi prefissati: cura della scrittura, attenzione ai social network, interazione tra i vari mezzi espressivi, corredando ciascun libro persino di una playlist musicale.10984289_10205590037583206_3066757723484068295_n
La bellezza del piccolo gioiello che abbiamo tra le mani convince sulla bontà del progetto.
Si può condensare in poco più di 168 pagine una vita? Pare proprio che alla Offill questo virtuosismo sia riuscito.
Docente di scrittura già apprezzata in America, Jenny Offill affida a una scrittura certamente non convenzionale la biografia di una donna, il cui destreggiarsi tra frustrate ambizioni giovanili, matrimonio, maternità e infine tradimento del coniuge, ne fanno un’eroina moderna. Di lei non conosciamo il nome. Le sue vicende non sono descritte in un flusso cronologico preciso. Sapremo che si è sposata, è divenuta madre e infine che ha subito il tradimento solo avendo riguardo alla parola che, di volta in volta, il soggetto narrante utilizzerà per riferirsi a sé. Un “Io” che diventerà ”la moglie”, prima di evolversi nel malinconico “lei” delle pagine finali, in cui sembrano trasferirsi tutta l’infelicità e lo smarrimento cagionatele dalla spersonalizzante vita coniugale.
La narrazione non si articola in capitoli, procede piuttosto attraverso l’annotazione di pensieri, di ricordi, di guizzi della coscienza e citazioni colte; elementi tutti che riportano il lettore costantemente alle proprie vicende personali, nell’evidenza che certi eventi e taluni sentimenti sono comuni a più. A chi, contemplando il suo primo amore dormire, non è venuto “da cantare a voce alta tutte le canzoni che passavano alla radio”? Chi non ha sperimentato “la rabbia che assomigliava ai fuochi d’artificio”?
Con una “scrittura per sottrazione”, priva del tutto di ridondanze retoriche, che tuttavia  non si restringe mai dentro i confini di una prosa rigida e austera, la penna della Offill mantiene una tale fluida musicalità da rasentare a tratti un’armonia poetica. Mai indelicate o inopportune neppure l’ironia e la leggerezza con cui si sceglie di stemperare il peso di certi momenti.
“Sembrava una felicità”, dichiarato Libro dell’anno 2014 da The New York Times Book Review, The Observer, The Guardian, The Times Literary Supplement, è senza dubbio un libro da leggere tutto d’un fiato, ma anche un romanzo a cui concedere una seconda più attenta lettura. Il mondo, si doleva Keats, “non è un luogo accogliente nel quale salvare la propria anima”, al contrario di certi libri che paiono invece godere di tale impagabile privilegio.

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