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Andrea Pazienza, 60 anni fa nasceva il genio del fumetto

Difficile immaginare un Andrea Pazienza oggi sessantenne, ripiegato su sé stesso, costretto forse ad arrendersi alle pubblicità, alle comparsate, al galateo. Eppure avremmo tutti voluto averlo ancora con noi, altro che ricordarlo come diamante pazzo, altro che continuare a guardare sempre le stesse tavole, sempre le stesse “sturiellet”, per farsele bastare, per farsele durare come tra carcerati il fumo nella bottiglia.
Passò negli anni Ottanta come un taglio di Fontana, un colpo di rasoio su una tela di gaudente spensieratezza. Il tratto originale e ineguagliato, l’umorismo feroce e sarcastico ne fecero lo scenografo di un decennio in cui la luce combatteva con le ombre, senza vincerle del tutto. Fu nel disegno quel che nella musica era stato Claudio Lolli, uno degli artisti con cui infatti aveva collaborato per le copertine dei dischi, insieme con Roberto Vecchioni con cui però l’affinità culturale non era immediata. Vissuto trentadue anni appena, da quasi quaranta rimane l’emblema di un mondo che aveva il DAMS di Eco e Barilli come punto di riferimento, anche grazie ad altri eccentrici di talento come PierVittorio Tondelli e gli Skiantos di Roberto “Freak” Antoni.
Bologna era la capitale dell’altra Italia, equidistante dalla Roma dei magnaccioni e dalla Milano da bere. Avrebbe forse preferito non diventare un precoce monumento a sé stesso, il Paz. Eppure i suoi personaggi allucinati e lancinanti esprimevano tutti un vertiginoso presagio di morte, da Zanardi a Pentothal, con le parentesi comiche di Pertini e Pippo. Era un genio e mozartianamente amava dissiparsi, spiazzando con mosse del cavallo come le campagne pubblicitarie, i videoclip, finanche le sceneggiature cinematografiche come quella del “Piccolo diavolo”, che riconoscente Benigni pensò di dedicargli. Pensare a quello che sarebbe stato ancora capace di fare svuota il cuore, smarrito di fronte all’infinito delle pagine bianche, in vana attesa della sua demoniaca, compassionevole matita, da cui scaturivano ribelli, sognatori e fuggitivi.
Fino al giorno in cui la vita, innamorata tradita, gli disse basta. E lui entrò, appunto, in una canzone che Lolli aveva scritto cinque anni prima: “Poi lui si disegnò e scrisse nella nuvoletta: addio dall’uomo che disegnava fumetti”.
di Elena Orsini

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