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Continua la primavera araba insanguinata

di Paolo Cappelli
 
 

Nel momento in cui la situazione in Libia sembra avviata all’attesa e certamente non sorprendente caduta del regime di Gheddafi, continuano le violenze sanguinose in Siria, dove le forze di polizia e militari continuano a infierire sulla popolazione assiepata nelle strade. Non diversa è la situazione nello Yemen, dopo l’espatrio del presidente Saleh, dove molte sono le preoccupazioni per una possibile recrudescenza di al-Quaeda. In Libia, quella di ieri è stata una giornata che ha visto le notizie alternarsi e andare ora a favore, ora a discapito dell’opposizione: la Germania ha riconosciuto il Consiglio nazionale di transizione come legittimo rappresentante del popolo libico, ma i ribelli hanno patito grosse perdite nella città di Brega. Almeno 25 combattenti dell’opposizione sono stati uccisi dalle forze di Muammar Gheddafi in scontri tra Ajdabiya e appunto Brega, nella parte orientale del paese. “I nostri uomini sono stati ingannati” – ha detto uno dei ribelli scampato all’imboscata – “I soldati di Gheddafi hanno finto di arrendersi, mostrando una bandiera bianca, e quando ci siamo avvicinati ci hanno sparato”. Nelle ultime ore, Al Jazeera ha riferito di un attacco missilistico contro una raffineria petrolifera nella città di Misurata, tuttora in mano ai ribelli, ma non ha chiarito chi li avrebbe lanciati. Il centro di gravità delle operazioni si è spostato nella parte occidentale del paese, roccaforte berbera e luogo ritenuto sicuro da Gheddafi, anche se ormai le bombe della NATO arrivano senza problemi anche là, da più di qualche giorno. Secondo quanto riportato dall’emittente Al Jazeera, il governo libico ha affermato di essere riuscito a impedire che combattenti dell’opposizione entrassero a Zawiya, ma i ribelli hanno replicato con i fatti, continuando a combattere con il fine ultimo di conquistare la città, un centro portuale importante a soli 50 km dalla capitale. Nel frattempo, Gheddafi ha ribadito la sua intenzione di rimanere al potere, anche se non è chiaro di quale potere parli, vista la situazione. Immagini della televisione di Stato hanno diffuso ieri alcune immagini del dittatore impegnato in una partita a scacchi contro Kirsan Ilyumzhinov, capo della Federazione Internazionale di Scacchi, già noto alle cronache per aver dichiarato un anno fa di essere stato rapito dagli alieni. Sul fronte diplomatico, il Segretario di Stato statunitense Hillary Clinton ha chiesto apertamente all’Unione Africana e ai suoi 53 membri di abbandonare Gheddafi al suo destino, esortandoli a tenere fede alle intenzioni, più volte manifestate, di voler costruire un continente democratico, aggiungendo che un’onda democratica simile a quella che ha spazzato il Nord Africa e il Medio Oriente potrebbe raggiungere anche tutti gli altri paesi del continente africano. Emblematica la frase di chiusura del suo intervento: “il vecchio status quo si è rotto e i vecchi modi di governare non sono più accettabili”.

La baronessa Valerie Amos, già presidente della Camera dei Lords inglese e attualmente Vice Segretario Generale delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari e il Coordinamento dei Soccorsi d’Emergenza, ha nuovamente espresso la propria preoccupazione per le violenze in corso in Siria. I gruppi che si occupano del rispetto dei diritti umani hanno detto che il numero dei morti dall’inizio delle proteste avrebbe raggiunto quota 1200 e quello dei feriti superato le 5.000 persone. Inoltre, più di 10.000 profughi avrebbero lasciato il paese. La Amos ha esortato il regime di Assad a rinunciare all’uso della forza contro i dimostranti, elogiando invece la Turchia per aver deciso di mantenere le proprie frontiere aperte ai coloro che decidono di scappare dalle violenze. Istanbul avrebbe accolto fino ad ora circa 7.000 siriani e sta allestendo ulteriori campi di accoglienza per i richiedenti asilo. Il primo ministro Recep Tayyip Erdogan, ha di fatto rotto ogni relazione con il governo siriano, associandosi all’appello del Regno Unito affinché il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite elabori una risoluzione il più presto possibile. Nel frattempo, nel paese mediorientale, le truppe del presidente Bashar al-Assad hanno circondato e arrestato centinaia di persone rimaste nella città assediata di al-Jisr Shughour, nel nord del paese. Molti degli uomini trovati nelle aree circostanti potrebbero essere soldati disertori, ormai stanchi di sparare contro civili inermi.

Nello Yemen, l’opposizione si è dichiarata pronta a impegnarsi in colloqui con il vice presidente del Paese al fine di individuare la modalità più adatta al fine di trasferire i poteri del presidente Ali Abdullah Saleh. Fonti governative hanno annunciato ieri di aver arrestato varie persone, pare tre, sospettate di aver materialmente eseguito l’attentato contro il presidente, il cui paese, dilaniato dalle proteste contro le sue ferree regole, si trova sull’orlo della guerra civile. Gli sforzi volti a trovare una via d’uscita per Saleh – costretto a riparare in Arabia Saudita a seguito delle ustioni e le ferite subite 10 giorni fa – non sono stati finora coronati da successo. La Saudi Press Agency ha affermato che Saleh ha manifestato la sua gratitudine al sovrano dell’Arabia Saudita, Re Abdullah, per le cure ricevute e ha citato il medico personale del presidente, Mohammad al-Sayani, secondo il quale la salute del presidente è “buona e in continuo miglioramento”. La paralisi politica e i conflitti di lunga durata con ribelli islamici, i separatisti e le tribù ribelli stanno alimentando i timori occidentali e regionali che lo Yemen possa precipitare in un caos ancora maggiore di quello in cui si trova, offrendo ad al-Qaeda una nuova roccaforte proprio al fianco delle rotte del petrolio.

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