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Le inquietudini del mondo

di Mariano Colla
L’attentato di Oslo è l’ennesima dimostrazione che viviamo in un mondo instabile, in un mondo che stenta a ritrovare un proprio equilibrio e una dimensione che non sia sottoposta  a continue tensioni, logorii,  criticità.
Possiamo definire l’instabilità del mondo un indicatore appartenente alla storia dell’umanità, oppure la modernità e la globalizzazione hanno contribuito a una crescente precarietà del sistema socioeconomico mondiale, dei suoi valori caratterizzanti, dei suoi punti fermi?
Una risposta univoca appare difficile, non potendo andare al di là di alcuni confronti o esperienze  generazionali  del nostro tempo. Tuttavia la contemporaneità della dimensione locale e globale nella percezione degli eventi induce un senso di smarrimento e di impotenza del tutto nuovo, un senso di relativismo  non riconducibile al passato.
Già i termini “progresso” e “miglioramento delle condizioni di vita” sono declinabili in vari modi, a seconda dei diversi paesi e delle relative culture, ed essi non rappresentano quegli universali di riferimento a cui l’umanità può far capo per alimentare prospettive di vita serene e rassicuranti.
Le differenze, tuttora presenti, tra mondo sviluppato e terzo mondo tendono ad ampliarsi anziché ridursi, generando tensioni sociali difficilmente recuperabili.
L’instabilità si diffonde con una pericolosa progressione, sostenuta da un turbinio di eventi, apparentemente scollegati, ma, nella realtà connessi dall’ampia rete mediatica che rende ogni fatto istantaneo e globalmente fruibile.
L’effetto di tale istantaneità informativa, già di per sé frenetica, per la quantità di dati e notizie che, quotidianamente, sollecitano le percezioni del cittadino comune, acuisce il senso di inquietudine e di angoscia riconducibili, da sempre, alle contraddizioni del mondo e della vita. L’entropia informativa ci rende vittime dell’informazione stessa e crea il diffuso senso di instabilità a cui inizialmente mi riferivo.
Gli eventi del  mondo sfuggono a una definizione locale e producono i loro effetti su un sistema globale sempre più interconnesso dal punto di vista economico, sociale, finanziario e naturale.
L’attentato di Oslo, ultimo drammatico evento, ne è un esempio. Oslo, capitale di un paese tranquillo, apparentemente privo di tensioni sociali e con un tenore di vita medio alto, è sconvolta da un attentato.
L’attentato è frutto di follia o di azione programmata? E’ solo opera di un serial killer animato da psicosi distruttive o vi è dietro un piano di destabilizzazione?
In entrambi i casi siamo vittime di situazioni incontrollabili, nonostante le continue assicurazioni di tranquillità. Il mondo trema perché si sente indifeso.
Nel frattempo, quale altro fattore di instabilità, si ripropone il dramma del Corno d’Africa, dove  milioni di persone rischiano di morire di fame e di sete in Somalia, Kenya, Etiopia e Gibuti. Un’emergenza umanitaria che minaccia soprattutto i più deboli; i bambini sono malnutriti e hanno bisogno di urgenti aiuti per sopravvivere e altre centinaia di migliaia di persone rischiano la vita per mancanza di risorse naturali, quali acqua e cibo, oppure per faide interne tra integralisti, soprattutto in Somalia, che impediscono l’arrivo e la gestione di aiuti esterni.
E che dire della lunga e tragica guerra civile che ha condotto il Sudan del Nord a separarsi  dal Sudan del Sud e che continua nelle  lotte di potere tra i due Stati per il controllo dei pozzi di petrolio?
Nel Medio Oriente, poi, Libia, Egitto, Siria, Yemen, Bahrein continuano ad essere luoghi di instabilità politica, con violente manifestazioni di dissenso nei confronti del potere corrente.
Quotidianamente giungono sulle nostre spiagge poveri disgraziati alla ricerca di una vita migliore.
E certamente non di minor rilevanza sono le crisi finanziarie che vivono alcuni grandi paesi del mondo, sull’orlo del collasso economico.
Gli Stati Uniti, per generazioni simbolo di progresso e stabilità, rischiano un “default” finanziario che, se si verifica, può avere effetti devastanti sull’economia dell’intero pianeta. Tra i motivi, l’incredibile difesa da parte dei repubblicani dei privilegi dei ricchi americani.
In Europa l’UE lavora freneticamente per assicurare  la  stabilità economico-finanziaria dei paesi membri,  pena l’insorgere di drammatici effetti a catena sulla solidità  dell’economia dei singoli stati, sulla tenuta della Comunità Europea e sul ruolo di quest’ultima negli assetti internazionali.
Questi sono alcuni esempi, ma tanti sono gli eventi all’ordine del giorno che aggravano la sensazione di instabilità che caratterizza i nostri tempi, dall’Iraq, all’Afghanistan, alle guerre di secessione nell’ex impero sovietico e non ultimi i problemi energetici e la difesa dell’ambiente.
Parte dell’umanità, probabilmente, non percepisce tale instabilità, adottando comportamenti di fuga che  vanno dall’immergersi in una dimensione ludica e disincantata, che tutto cancella, a forme di agnosticismo e disimpegno che, comunque, non annullano un certo  senso di inquietudine, anticamera del nichilismo, fino alla ricerca del misticismo quale ancora trascendente in cui trovare le risposte a tutto.
L’umanità ha corso molto in questi ultimi cento anni e, forse, ha bisogno di una pausa di riflessione, ha la necessità di trovare nuovi equilibri in grado di rasserenarla, in grado di tracciare nuovi orizzonti di senso.
I presupposti della modernità o, meglio, della post-modernità, sono, in qualche modo, logori dopo anni di sostegno alle vicende umane, e non aiutano più di tanto. Poche sono le indicazioni, diciamo di carattere socio-economico, tali da indicare una nuova via.
In questi ultimi decenni è prevalsa nel mondo evoluto l’esaltazione della razionalità  funzionale allo scopo, la dimensione economica costi-benefici. Tale modello razionale ha  fatto il suo tempo, o, perlomeno, va rivisto e riadattato.
La stabilità che esso sembrava garantire è entrata in crisi, lasciando un vuoto da colmare. Il futuro va disegnato secondo nuovi paradigmi.
Quale può essere una possibile risposta?
Se consideriamo irrazionale ogni comportamento che non aderisce alla logica razionale dello scopo, allora tale forma di irrazionalità, se così la vogliamo definire,  la possiamo inquadrare, usando le parole di Weber,  in una “razionalità rispetto al valore”, senza con ciò incorrere nelle esasperazioni etico-morali più inquietanti, quali il sacrificio estremo per la difesa o affermazione di una idea, di un principio.
Quindi, anche se le due  forme di razionalità su esposte non sono distinte e coesistono nell’individuo e nella collettività, è raccomandabile equilibrarle, non trascurando le passioni e le emozioni che animano la nostra esistenza e che oggi sono spesso portatrici di angoscia e paura, a causa di un mondo la cui instabilità ci confonde  e ci inquieta.
Un suggerimento filosofico dice: ”per evitare di impazzire di fronte al divenire del mondo  addomestichiamo il nuovo per renderlo compatibile con il già vissuto”.

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