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Elezioni in Tunisia: cosa ci dobbiamo attendere?

di Mariano Colla

La morte di Gheddafi, probabilmente consegna la lunga, entusiasmante, ma al contempo     tragica, “primavera araba” al suo ultimo capitolo. Rivoluzione imprevista, quanto cruenta e determinante per i nuovi equilibri politici del Medio Oriente. In un crescendo di tumulti, rivendicazioni, manifestazioni di piazza, incursioni militari, al prezzo di numerose vittime e di sangue innocente, si sta esaurendo la forza propulsiva di un movimento che ha attraversato il mondo arabo, scardinandone assetti pluriennali e ponendo le basi per un nuovo ordine politico le cui linee definitive sono, tuttavia, ancora da plasmare. Il fragore delle armi e delle grida di piazza si sta acquietando per lasciare spazio alla riflessione, al pacifico confronto, a un rinnovato spirito di collaborazione tra le parti chiamate a governare le nuove realtà politiche.

Rached Gannouchi

Rimuovere diffidenze e timori di instabilità, ovvero ingerenze integralistiche estranee alla costruzione di identità democratiche, dovrebbe essere il compito delle nuove classi dirigenti emerse dalla ”primavera araba”.

In tale spirito la rivoluzione del Gelsomino ha recentemente consentito al popolo tunisino di esprimersi con libere elezioni, nella consapevolezza che esso stava partecipando a un momento chiave nella vita del paese dopo anni di dittatura, oppressione, sopraffazione. La Tunisia, paese da cui tutto è cominciato, dà voce alla propria gente perché essa si esprima liberamente senza vessazioni e angherie. La prima libera consultazione popolare è stata contrassegnata da un grande afflusso di elettori, oltre il 70% degli aventi diritto al voto, nonché dalla convinzione individuale di ogni tunisino di essere testimone diretto della storia del proprio paese. Votazioni fondamentali perché con esse la Tunisia riformula il proprio futuro e, in particolare, pone le basi di un nuovo Stato, di una nuova democrazia rappresentativa,   che noi, vicini europei, ci auguriamo non estranea alla sostanziale laicità che il paese mediterraneo può vantare da molti anni.

Il successo ottenuto dagli uomini di Ennahdha, la formazione politica di ispirazione islamica  pone tuttavia un quesito. La caduta di Ben Alì strenuo difensore dello Stato laico ha rimesso in discussione i principi che avevano dato inizio a dei concreti esperimenti  di democrazia nell’area mediorientale? L’ombra dell’islam può alterare la laicità dello Stato oltre che del paese? Ennahdha, in questo movimentato periodo, ha evidenziato  il suo forte  legame con l’Islam, nonché una presenza  capillare sul territorio, dalle città ai villaggi, dove il profilo del fedele islamico e quello dell’attivista politico si sono spesso confusi.

Ennahdna, considerato dal regime di Ben-Alì un partito confessionale, fu messo al bando e ora, con il successo della rivoluzione del Gelsomino, Rached Gannouchi, leader del movimento islamico, è ritornato in patria acclamato da migliaia di islamici festanti. Le interviste effettuate, nell’occasione, dalle emittenti televisive a esponenti del partito oltre che a semplici militanti, non sembrano evocare forme e contenuti verbali appartenenti  a profili integralisti. Il desiderio di un libero pensiero in un libero Stato tende, forse, a prevalere sullo spirito confessionale originario del nuovo partito al potere, inducendo speranze e ottimismo in una possibile revisione esegetica delle sue stesse fondamenta. Certo, non si può facilmente fugare il timore che la componente religiosa possa assumere ruoli politici tali da condizionare un dialogo costruttivo con il mondo occidentale, oltre che con il mondo arabo progressista.

Non a caso ho riscontrato, parlando qui a Roma con la gente comune e con alcuni intellettuali, una certa preoccupazione per gli esiti delle elezioni, ma temo che tali posizioni siano ancora influenzate da considerazioni preconcette circa il rapporto tra islam e Stato laico, rapporto complesso da coniugare ma sicuramente possibile secondo studiosi islamici, senza incorrere in radicalismi ideologici.

Lo scacchiere politico internazionale è notevolmente cambiato in questi ultimi anni e il Medio Oriente ne è stato uno dei principali attori. La Tunisia deve, in qualche modo, ricostruirsi e nella nuova trama di relazioni non potrà ignorare gli sviluppi politici dei paesi adiacenti quali Libia, Egitto, Siria, tuttora in piena ebollizione e con forme politiche ancora da plasmare. L’ipotesi che in Egitto si possano affermare i Fratelli Mussulmani, o che in Libia vada al potere un partito islamico, creerebbe uno scenario panarabo di stampo confessionale di cui è difficile immaginare l’evoluzione. E’ compito degli osservatori politici capire se in queste nuove realtà mediorientali possano nascere forme di difesa contro la globalizzazione, forme in cui alligna il fanatismo religioso e l’esclusivismo ideologico.

Le forme che esprimono la profonda crisi dell’uomo moderno, sia in campo religioso che in am¬bito intellettuale, trovano diverse espressioni a seconda della cultura o dei valori di riferimento. Nel mondo arabo le pulsioni confessionali si esplicitano come radicalizzazioni di un sentimento religioso utilizzato come strumento di reazione alla globalizzazione da parte di chi ha paura di perdere la propria identità.

Quale dunque il futuro politico della Tunisia?Avranno i nuovi leader quella sapienza per attenuare e, in prospettiva, eliminare la contrapposizione, a volte artificiosa, tra il nostro mondo secolarizzato e il mondo arabo spirituale, ridando al paese quel ruolo ponte che Ben Alì inizialmente aveva creato e che poi ha tragicamente distrutto? Penso che dobbiamo crederlo e dare fiducia ai nuovi governanti senza alimentare diffidenze di posizione, nocive per una collaborazione politica concreta e franca. Se da un lato non si può e, forse, non si deve demandare a una omologazione monoculturale il superamento delle diversità, la soluzione non potrà certo essere rappre- sentata dai radicalismi reazionari e puritani. Recentemente Amos Luzzato, presidente delle comunità ebraiche italiane ha scritto: è necessario superare atteggiamenti preconcetti, soprattutto in tempi di globalizzazione, in un mondo che si fa sempre più piccolo, nel quale diventiamo tutti vicini di casa. Forse la nuova Tunisia ci aiuterà a concretizzare questa speranza.

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