Non è una novità che gli sconvolgimenti dovuti all’attuale crisi finanziaria possono essere, in gran parte, ricondotte alla forme più nocive del capitalismo.
Tra queste forme è opportuno citare l’abrogazione, da parte dell’amministrazione Clinton, dell’accordo Glass-Steagall del 1933, accordo che, negli USA della grande depressione del 1929, introdusse severi controlli sui mercati finanziari, separando le banche d’investimento, note anche come banche d’affari, vedi Lehmann Brothers, da quelle commerciali, istituzionalmente preposte alla raccolta dei denari dai risparmiatori e alla erogazione dei prestiti.
La separazione tra le due forme bancarie, impediva alle banche stesse di speculare in proprio, riconducendo le attività finanziarie all’interno di vincoli e regole che tutelavano il risparmiatore. La rimozione dell’accordo Glass-Seagall, sollecitato dalle potenti lobbie finanziarie, è quindi stata una delle cause della profonda crisi che il capitalismo anglosassone ci ha consegnato. Ancora una volta, quindi, il mondo anglosassone si è posto alla testa di un capitalismo rampante che ha agito senza controlli, con le conseguenze che noi tutti vediamo.
Dal momento in cui, con la caduta del muro di Berlino, la radicalizzazione del liberismo ha condotto al fallimento della così detta terza via, formula economica che avrebbe dovuto coniugare sviluppo, sostenibilità, solidarietà, il capitalismo ha avuto dinanzi praterie su cui dispiegare i propri tentacoli, alimentando l’illusione collettiva di un benessere alla portata di tutti. I risultati di una tale progressione sono ormai evidenti a tutti e la domanda che la gente comune si pone è: quale formula ci dobbiamo inventare per uscire dalla trappola dell’illusione capitalistica, per respirare un clima meno ansiogeno, per ridare equilibrio a un rapporto dare avere fortemente alterato dall’esasperata dinamica dei consumi? Sorpresa! Una possibile risposta a questa domanda viene proprio dagli Stati Uniti. Probabilmente non ce lo saremmo aspettato, considerando i fermenti conservatori che sembrano orientare l’elettorato americano in vista delle prossime consultazioni politiche del 2012. La notizia, di per sé, non è recente, risale a qualche mese fa, ma i suoi contenuti, forse non noti ai più, sono incredibilmente attuali.
La risposta proviene dalla rivista The Nation, laboratorio di idee della sinistra americana. Nel suo ultimo libro, “Alla mia sinistra” (Mondadori, 2011, pag. 228 euro 18), Federico Rampini sottolinea l’importanza dell’iniziativa della rivista americana che ha sollecitato un dibattito dal titolo “Reimagining Capitalism” (“ Re-immaginare il capitalismo “) stimolato dalla domanda: immaginate di poter reinventare il capitalismo, da dove comincereste? La consultazione ha coinvolto imprenditori, innovatori, giuristi, scienziati, attivisti, strateghi della politica, intellettuali ed economisti americani con lo scopo di stimolare riflessioni e proposte funzionali a una rivisitazione dei capisaldi del capitalismo tradizionale, nonché alla formulazione di nuovi paradigmi utili a riposizionare il concetto di capitalismo nello scacchiere della globalizzazione. Dice Rampini: “questo esperimento c’è chi lo ha chiamato capitalismo inclusivo e chi preferisce chiamarlo capitalismo democratico; non conta l’etichetta ma il contenuto: un cambio radicale di priorità, regole e valori, un nuovo umanesimo che comanda l’economia, caratterizzato da meno finanza, meno diseguaglianze, una diversa gerarchia nei luoghi di lavoro, un mondo imprenditoriale con finalità alternative al profitto”.
I personaggi coinvolti hanno sostanzialmente dovuto chiedersi: da dove cominciamo? Che cosa dovremmo fare per rendere il capitalismo meno distruttivo e dominante, e orientarlo a una concreto soddisfacimento delle esigenze primarie della gente? Il brain storming ha prodotto molte idee concrete, raramente utopistiche, basate su una lettura critica del mondo americano e delle sue storture economiche. Tredici idee, tutte innovative che, se applicate, sono in grado di condurre a una radicale revisione del capitalismo attuale, sono state raccolte dalla rivista in un rapporto, quale base per ulteriori discussioni e approfondimenti. Si passa dal contributo del giurista costituzionale Jame Raskin, che dà forma e prospettiva alle Benefit Corporations, società il cui scopo obbligatorio è di assicurare ritorni positivi sulla società e sull’ambiente, operando dal risanamento di fiumi all’edilizia, per continuare con William Lerach, avvocato di successo, che propone sistemi di controllo più stretti sulle responsabilità delle grandi corporation, rendendo meno esclusivo l’accesso alle stanze dei bottoni.
Dirk Philipsen, storico e studioso dell’ambiente, suggerisce un ripensamento dei sistemi di calcolo del GDP, e Ray Carey, noto esponete del mondo finanziario, propone l’adozione di sistemi di protezione dei fondi pensione dalla speculazione internazionale. Eugene McCarraher, professore universitario, immagina un capitalismo ormai al tramonto e la nascita di un mondo avviato su nuove speranze. Insomma ricette utili a disinnescare la pericolosa escalation speculativa che il capitalismo rampante, alimentato da una finanza dissennata, ha avviato da alcuni anni.
Dell’iniziativa di The Nation preme sottolineare che gli Stati Uniti sono ancora in grado di dimostrare vivacità intellettuale e di affermare la capacità di produrre idee nuove per dei cambiamenti radicali. In un mondo devastato dai giochi finanziari, dalle incombenze economiche, da un consumismo senza limiti, da profonde disparità di reddito, da sacche di povertà contrapposte a ricchezze eccellenti, è certamente una buona notizia che nella patria del capitalismo si inizi a pensare a delle alternative.
In un’America in cui l’esperimento Obama, volto a introdurre equità e spirito di solidarietà, ha trovato molte difficoltà, in un paese in cui le lobbie finanziarie esercitano ancora un forte potere, sostenute da una destra famelica alla Rick Perry, tanto per fare un nome, le iniziative della rivista The Nation fanno notizia e, con un pizzico di ottimismo, fanno ben sperare. Anche se gli Stati Uniti non sono più il faro del mondo sono sempre in grado di influenzarlo con delle nuove idee.