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Il pastore battista che brucia il Corano

Di Valentino Salvatore
A scaldare il clima in vista del prossimo undici settembre non bastavano le polemiche sulla moschea a pochi isolati da Ground Zero. Ora arriva anche Terry Jones, pastore battista del gruppo cristiano Dove World Outreach Center con sede a Gainesville, in Florida. Questa chiesa fondamentalista è nota per aver fatto indossare ad un gruppo di studenti una maglietta con l’esplicita scritta “Islam is of the devil”, l’anno scorso. Jones ha lanciato una nuova e più pesante provocazione anti-islam, destinata a fare scalpore.
Proprio per ricordare le migliaia di vittime del tragico attentato di matrice islamica che nel 2001 distrusse il World Trade Center, il religioso ha invitato a bruciare copie del Corano, cosa che farà pubblicamente con i seguaci proprio nel terreno della sua chiesa. Tale atto è evidentemente considerato offensivo dai  musulmani di tutto il mondo, scatenando  rappresaglie e proteste contro gli occidentali, come già accaduto per il caso delle vignette su Maometto. La comunità di Jones è da tempo attiva contro l’islam, definito religione “del diavolo” perché, tra i motivi addotti, nega la divinità di Gesù e “non è compatibile con la democrazia e i diritti umani” per i suoi sistemi violenti e il totalitarismo che ne deriva.
Numerose voci si sono levate contro la provocazione del pastore, da parte di stati, organismi internazionali e da esponenti religiosi. Il segretario di Stato Hillary Clinton, durante un incontro a Washington con la comunità musulmana per la fine del Ramadan, ha parlato di “atto irrispettoso, vergognoso”.
Proprio in America è vivo un diffuso sentimento anti-islamico con forti basi religiose e politiche, alimentato dagli attentati dell’11 settembre. Come dimostra il recente scontro sulla moschea vicino Ground Zero, la questione è spinosa per l’amministrazione Obama. Se il presidente in nome della libertà religiosa si è mostrato subito favorevole al centro islamico a New York, non vanno sottovalutati segnali come il recente sondaggio del Pew Forum secondo cui il 18% degli americani pensa che Barack Obama sia in realtà di fede musulmana. Con diverse migliaia di soldati in teatri di guerra come Afghanistan e Iraq, gli Usa devono procedere con cautela ed evitare di fomentare ulteriormente il fondamentalismo islamico. Non a caso il generale David Petraeus, capo delle forze statunitensi in terre afghane, ha espresso preoccupazione nei confronti dell’iniziativa anticoranica di Jones, che “mette in pericolo la vita dei militari americani”.
Catherine Ashton, alto rappresentante UE per gli esteri, condanna “nella maniera più forte possibile” l’appello di Jones, in nome del “pieno rispetto per tutte le fedi religiose”. Anche il Vaticano è intervenuto, col Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso che ha manifestato “viva preoccupazione”, ricordando che “ogni religione, con i rispettivi libri sacri, luoghi di culto e simboli ha diritto al rispetto e alla protezione”. Parole di biasimo che sanno di avvertimento anche dal mondo islamico. In particolare Abdel Muti al-Bayyumi, presidente dell’accademia di ricerca islamica dell’Università al-Azhar del Cairo, fa notare come la distruzione pubblica del Corano possa portare alla “rovina dei rapporti tra l’America e il mondo musulmano” e fomentare il terrorismo. La comunità ebraica, considerando anche il fatto che il capodanno del Rosh Ashanà cade in concomitanza con la fine del Ramadan, invita al dialogo. Charlotte Knobloch, presidente del consiglio centrale degli ebrei in Germania, afferma che “l’idea è spaventosa e ripugnante” e ricorda il rogo di libri compiuto dai nazisti nel maggio del 1933. “Dovunque si bruciano i libri, si finisce per bruciare anche gli uomini”, ha ammonito Knobloch citando il poeta Heinrich Heine. Non solo le religioni in campo contro Jones. Tra i primi a criticare la distruzione del Corano promossa dal predicatore c’è l’International Humanist and Ethical Union, organizzazione che riunisce associazioni di non credenti di tutto il mondo. Nel comunicato dell’IHEU si legge che “bruciare libri simboleggia ignoranza e odio”. Benché si difenda la “libertà di coscienza e di espressione” e quindi persino “il diritto dei cristiani di criticare l’islam nonché il loro diritto legale di bruciare libri”, l’IHEU precisa: “se si può scegliere di bruciare libri, noi scegliamo di parlare contro il loro odio, la loro ignoranza e la loro completa mancanza di tolleranza per le convinzioni diverse”.
 
Nonostante la pioggia di critiche da tutto il mondo, Terry Jones tira dritto confermando per l’undici settembre il Koran Burning Day. Afferma di aver ricevuto numerose minacce e di girare armato. Invita i fedeli a “raccogliersi in preghiera per bruciare insieme in piazza una copia del Corano” per lanciare “un messaggio chiaro ai musulmani radicali” e rispondere a quelli che “bruciano in piazza la nostra bandiera o la Bibbia”. Sostiene di rifarsi evangelicamente a Gesù, il quale “insegna che c’è un tempo per la diplomazia e un tempo per l’ira”: “la diplomazia è una cosa buona e giusta, ma non dimentichiamo mai che anche Gesù entrò nel Tempio e rovesciò i banchi”. 
Il segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon si dice “profondamente turbato dalle informazioni riguardanti un piccolo gruppo religioso che ha l’intenzione di bruciare copie del Corano”. “Tali atti non possono essere sostenuti da alcuna religione”, ha affermato, “contraddicono gli sforzi delle Nazioni Unite e di numerose persone nel mondo di promuovere la tolleranza, la comprensione interculturale e il rispetto reciproco tra le culture e le religioni”. Solo Michael Bloomberg, sindaco di New York, pur definendo “sgradevole” la manifestazione, riconosce comunque il diritto della chiesa di Gainesville di bruciare il Corano in nome della libertà di espressione garantita dalla Costituzione statunitense.
Come andrà a finire? La faccenda è complicata. Da una parte, senza dover necessariamente difendere Jones, nella nostra società occidentale esiste e va garantita la libertà di espressione finché non sfocia in violenza. Anche se viene espressa in modo caustico nei confronti delle religioni, che non dovrebbero godere di uno status di privilegio. Si nota dopotutto una certa ipersensibilità quando si muovono critiche a leader religiosi o dubbi su questioni di fede, residuo di un antico alone di soggezione che ammanta tali figure e concetti. Quindi qualsiasi critica ai più pare eccessiva, offensiva e destinata a colpire nel profondo. E lo si vede sia da parte cristiana che islamica, sebbene le reazioni tra i musulmani siano oggi molto più violente. Dall’altra, iniziative estreme come quella del reverendo non favoriscono il dialogo tra culture e religioni né la pacificazione, soprattutto in un momento di tensione e confronto tra Occidente e Islam. E i fondamentalisti religiosi, da una parte e dall’altra, non aiutano di certo.

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