di Monica Bonora
“Lo spettatore fondamentalmente si trova (…) davanti a due scelte: o partecipa al gioco che gli proponiamo, o si mette in disparte e sta a guardare. E in questo caso si annoierà, perché, ripeto, lo spettacolo va vissuto, non certo visto e giudicato. Se al contrario, lo spettatore entra nel gioco, potrà immediatamente essere parte viva, attiva di esso”.
Il cardine di tutte le sue rappresentazioni è il dinamismo. Attori che entrano, attori che escono, cavalli di lamiera, cani viventi, facciate di case che precipitano, treni, carrelli. Spazi rivolti all’infinito. Attori che appaiono e scompaiono in botole-porte come fossero quinte. Maschi con maschere di femmine perchè “più efficaci”.
Mille sono gli occhi che servono per seguire i suoi spettacoli che sembrano tele di Picasso in movimento. Come si potrebbe non entrare in questo gioco?
E’ stato un formidabile sperimentatore e un fiume in piena d’invenzioni che lo hanno portato, in tarda età, alla saggezza dei grandi padri.
Il suo orologio biologico, con un tempismo perfetto, ci ha regalato un ultimo capolavoro: Lehman Trilogy in scena dal 29 gennaio. Tra pochi giorni, l’8 marzo, avrebbe compiuto gli anni. Questa sincronicità di eventi, ci fa capire come la sua morte concluda un ciclo che lascerà in eredità al mondo.
Luca Ronconi nasce in Tunisia nel 1933. Si diploma all’Accademia di Roma e inizia la sua attività di regista con la compagnia di Corrado Pani e Gianmaria Volontè.
L’Orlando furioso di Ariosto è il suo primo capolavoro; siamo nel 1969 e lo spettacolo lo renderà famoso anche negli Stati Uniti. Successivamente dirige Mariangela Melato nella la versione cinematografica. Sono gli anni di spettacoli memorabili, tra cui Orestea di Eschilo.
Negli anni novanta dirige il Teatro Stabile di Torino e realizza un imponente allestimento (oltre sessanta attori) de Gli ultimi giorni dell’umanità di Karl Kraus “Al teatro che esiste oggi manca il carattere di avvenimento. Andando a teatro noi vediamo solo ciò che sta avvenendo sul palcoscenico. A me non basta. Per questo motivo ho amato il testo di Kraus, perché non può essere rappresentato su di un palcoscenico. Gli occorre un rituale differente di visione e di ascolto”. Per questo sceglie il Lingotto, già oggetto di avanguardia architettonica negli anni venti, oggi gioiello di archeologia industriale riqualificata, dove, in occasione della rappresentazione, la fabbrica torna ad essere fabbrica.
Vale la pena ricordare, sempre a Torino, la realizzazione di cinque spettacoli collegati tra loro per i giochi olimpici invernali.
Durante gli anni della direzione artistica del Teatro di Roma, va in scena la sua versione di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda.
Succede a Giorgio Strehler al Piccolo Teatro di Milano come direttore artistico, accanto a Sergio Escobar. Il primo anno realizza Lolita di Nabokov nel quale si rivela subito la sua impronta.
Al Piccolo costruirà gli spettacoli della maturità dove la sperimentazione diventa sintesi dello stile ronconiano ormai conclamato: il Candelaio di Giordano Bruno, Quel che sapeva Maisie di Henry James, Infinities di John David Barrow, Prometeo incatenato di Eschilo, Le Baccanti di Euripide, Le rane di Aristofane, Il Professor Bernhardi di Arthur Schitzler, Il ventaglio di Goldoni, La Celestina nella riduzione di Garneau fino all’ultimo Lehman trilogy di Stefano Massini, con un gruppo di attori formidabili. Ha collaborato con lui una moltitudine di interpreti, ma questi in particolare passeranno alla storia, insieme alla conclusione del lavoro del grande maestro.
E’ impossibile sintetizzare l’opera di Ronconi. Un artista che ha usato l’analisi come parametro per lo studio della drammaturgia. Amava i classici perchè gli consentivano di partire dalle fondamenta dei testi liceali e dell’eredità materna per arrivare ad una comprensione ulteriore al passare degli anni. Fine ultimo, la conoscenza.
Ma ha portato a teatro anche la matematica , l’economia, le fabbriche.
Della sua vita privata non si sa nulla. Chi lo ha conosciuto bene lo descrive come una persona complessa: schiva, silenziosa, autoritaria, divertente. Odiava la banalità. Amava la natura e gli animali. Tra tutti un cane in particolare che aveva definito “un fidanzato”. E con grande pudore confessa in una intervista che non dorme la notte, pensando alle radici che una pianta sta affondando nel terreno.
La parola attuale gli faceva orrore. Gli sarebbe piaciuto inventare nuove regole, nuove regole da infrangere.
Ha fatto del teatro la sua casa, un’incessante metamorfosi per entrare in relazione con il mondo.
Forse ciò che ha voluto rappresentare è l’assoluto, l’infinito. Quella emozione che va aldilà, il mistero che avrà svelato lasciandoci.
Il concetto di morte circola sempre di più negli ultimi spettacoli. “… sopravvivere ai morti è un privilegio doloroso”, dice. Ma non lo riguarda più. Perchè è diventato immortale.