di Antonietta Molvetti
Infuria da tempo, non accennando a sopirsi, la polemica sull’introduzione della cosiddetta “Teoria del gender” tra gli insegnamenti scolastici.
La voce che circola più diffusamente tra i genitori, generando malcontento, sostiene che i nostri figli, tra i banchi, imparerebbero a superare il dato biologico di essere nati uomini o donna, potendo scegliere arbitrariamente se comportarsi da maschio o da femmina. L’ideologia gender insegnata a scuola li persuaderebbe, cioè, che considerarsi e agire da uomini o da donne sia l’esito di una libera decisione personale. Da qui il dubbio di molte mamme che anche gli alunni maschi siano obbligati ad indossare grembiulini rosa o a giocare con le bambole, nonché il timore che i bambini possano essere instradati a condotte omosessuali. Onde rassicurare i genitori sgomenti è necessario verificare le novità realmente disposte a tal proposito dal “decreto sulla buona scuola” ed eventualmente accennare ai contenuti della” teoria gender”, qualora essa esista.
Come più volte precisato dal Ministro Giannini, intervenuta per placare gli animi, nulla di quanto sopra accennato si deduce dalla lettura della norma.
Il famigerato comma 16 del Decreto recita, infatti, testualmente: “Il piano triennale dell’offerta formativa assicura l’attuazione dei principi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni (…) ”.
Non c’è, dunque, nelle parole del legislatore alcun riferimento a questioni d’identità sessuale o attinenti la sfera erotica. Vi si trovano esclusivamente richiami alla parità tra i sessi intesa come pari opportunità tra uomo e donna, e alla violenza di genere nell’accezione di reati commessi da uomini ai danni di donne.
Va ricordato che gran parte dei principi a cui si conformano le nostre condotte sociali non è connaturata nell’uomo. Spesso la loro interiorizzazione è stata frutto di obblighi imposti dalla legge e di mirate campagne di istruzione realizzate tra le mura scolastiche.
Purtroppo ancora molti valori, quali la parità tra l’uomo e la donna, il non considerare quest’ultima come oggetto di proprietà maschile che può disporne anche della vita, nonché la tolleranza verso “i diversi”, aspettano ancora oggi di essere accolti universalmente. La legge intende di fatto promuoverne la diffusione presso le nuove generazioni attraverso un programma di “educazione sentimentale”. Solo insegnando ai giovanissimi che siamo tutti in prima istanza persone, esseri umani con pari dignità, sensibilità e diritti, si potranno estirpare i femminicidi, gli atti di bullismo ai danni di soggetti con diversi orientamenti sessuali, e più in generale scoraggiare i comportamenti lesivi della dignità altrui.
E’ probabilmente questa idea di educare i bambini senza limiti discriminatori e differenze legate al sesso, semplicemente come individui, a suggerire l’equivoco richiamo a una non meglio identificata teoria del gender. Sarebbe stato più opportuno il rinvio, per quanto ugualmente forzato, ai cosiddetti “studi di genere”. Furono, infatti, proprio gli “studi di genere”, sviluppatisi in America del Nord a partire dalla fine degli anni settanta, ad ipotizzare per primi, pur senza mai spingersi alle conclusioni estreme che sono ad oggi in circolazione, che alcune condotte, nonché alcuni elementi connotanti tradizionalmente i due generi, non siano innati geneticamente, bensì indotti da condizionamenti culturali e sociali e possano essere dunque modificati per favorire in particolare l’emancipazione femminile.
Alla luce di tali precisazioni, ci auguriamo che cessino le polemiche, nella speranza che la nostra scuola riesca a insegnare finalmente ai bambini e ai loro genitori che una femmina rimane tale anche giocando a calcio, così come un maschio conserva la propria identità sessuale pur vestendo di rosa, e soprattutto che nessun essere umano può essere discriminato o vessato per le proprie scelte.