di Antonietta Molvetti
Avete pargoli che sognano di fare gli astronauti? Siete genitori fortunati.
Baciateli amorevolmente sulla fronte e lasciate che coltivino il loro sogno. A coronarlo saranno sufficienti: una laurea in ingegneria, l’accesso per la qualifica di pilota all’Accademia Aeronautica e le selezioni presso un centro aerospaziale. Al termine del percorso, i vostri eredi –la carriera è aperta anche alle donne- saranno pronti per la conquista del cosmo.
Le cose si complicano quando i figli ambiscono a “carriere comuni”, di quelle per cui serve una semplice –si fa per dire- laurea in giurisprudenza, in economia o, peggio ancora, in lettere.
In quel caso, sarete voi quelli costretti a navigare in universi mai esplorati prima.
L’avventura potrebbe, magari, cominciare con una banale richiesta di denaro, com’è successo alla sottoscritta con la seconda figlia.
-Mamma, devo comprare il libro per prepararmi allo IELTS, mi daresti i soldi?-
-Prepararti al cosa?- ho trasecolato io.
–IELTS, mamma- ha ripetuto pazientemente la cucciola, conscia di sferrarmi uno strale a tradimento –il test d’inglese per entrare nelle università estere –
Avuta la mia completa attenzione, la fine stratega, ha quindi sfoderato l’arma più efficace a sostegno della sua causa: l’elenco dei “Top ranking”, la leggendaria classifica delle università mondiali.
1 | Stanford University | United States | |
2 | Harvard University | United States | |
3 | University of California, Berkeley (UCB) | United States | |
4 | Georgia Institute of Technology (Georgia Tech) | United States | |
5 | Imperial College London | United Kingdom | |
6 | University of Cambridge | United Kingdom | |
7 | Massachusetts Institute of Technology (MIT) | United States | |
8 | ETH Zurich (Swiss Federal Institute of Technology) | Switzerland | |
9 | University of Oxford | United Kingdom | |
10 | Carnegie Mellon University | United States |
Ben prevedeva mia figlia che ne sarei rimasta mortificata. Immaginabile che i primi dieci posti fossero di atenei Americani e Inglesi. Inimmaginabile invece, almeno per me, che per trovare un’italiana, La Sapienza di Roma, avrei dovuto scorrere la lista fino alla 51esima posizione. Sconvolgente, poi, che la gloriosa Università degli Studi di Napoli Federico II, non vi comparisse affatto, con la conseguenza che, a voler dar credito esclusivamente al Top Ranking, oggi una laurea dell’ateneo Federiciano all’estero non sarebbe neppure presa in considerazione.
La serena atmosfera della mia cucina era svanita, la voglia di preparare la cena sfumata. Nuove necessità hanno cominciato a premere. Prima fra tutte la comprensione della gerarchia dei titoli universitari stranieri: Bachelor degree (laurea di primo livello rilasciata dalle università di lingua inglese dopo un triennio o quadriennio), Master of Science or of Arts (equivalente alla nostra laurea magistrale) e PH.D (il dottorato, apice della carriera di uno studente). In secondo luogo, mi è parso urgente ripassare i principi fondamentali di economia, imprescindibili nel tentativo di conciliare gli importi del nostro “modello unico”, con quelli stratosferici delle rette sottoposte in visione.
Come previsto, ero in orbita intorno ad un pianeta ignoto. Il mondo dell’università che stava emergendo, era cosa altra rispetto a quello che io stessa avevo conosciuto.
Certo, anche in passato c’era chi si allontanava dalla propria città per inseguire lauree di prestigio o al contrario più facilitate. Ma erano eccezioni. La maggior parte di noi matricole, per assecondare la propria vocazione e gravare al minimo sul bilancio famigliare, ci accontentavamo -si fa per dire- delle facoltà più vicine a casa. Un lavoro, presto o tardi, con la laurea era assicurato.
La crisi economica ha purtroppo contribuito a cambiare le regole del gioco.
Le università italiane, già prostrate dagli antichi giochi tra “baroni”, sono ormai creature ferite a morte. Esangui per le mancate politiche d’investimento statali – gli investimenti sono scesi dall’1,19 allo 0,95 % con tagli di bilancio superiori al 5%- comprimono offerta formativa e ricerca, anche a causa del calo complessivo dei docenti, il 13% in dieci anni, e dell’espulsione di 97 ricercatori precari ogni cento. Pèrdono iscritti: negli ultimi due anni non si sono immatricolati ben 78.000 diplomati. Ci rimettono in termini di credibilità, prestigio e reputazione. Dal fondo delle classifiche internazionali in cui progressivamente scivolano, è evidente che non sono più in grado di garantire l’accesso al lavoro dei propri laureati.
Ai nostri ragazzi, già consapevoli che la disoccupazione li costringerà a emigrare, non volendo correre il rischio di farlo avendo in tasca lauree quasi carta straccia, non resta, dunque, che anticipare la partenza.
A quanti sono giunti, come me, a questo bivio, che dire?
Ai genitori, forza e coraggio. Ai figli, buon viaggio!