Si è chiuso da poco il Vertice della NATO di Lisbona, che segna un passo avanti storico all’interno dell’Alleanza Atlantica. I Capi di Stato e di Governo, accompagnati dai rispettivi ministri degli esteri e della difesa, hanno approvato una serie di misure di ampio respiro e di lungo termine che delineano una NATO nuova, più semplice nella struttura e pensata principalmente per adattarsi alle nuove sfide del XXI secolo, segnatamente il terrorismo e il cyber crime.
Le riforme concordate saranno applicate principalmente alla struttura di comando militare e alle agenzie che forniscono alle forze armate dell’Alleanza le necessarie capacità, attraverso lo sviluppo di programmi industriali dedicati. L’obiettivo dichiarato è di migliorare ulteriormente le capacità difensive della NATO e garantire che le risorse a disposizione, quantitativamente inferiori risppetto al passato, siano utilizzate in maniera più efficiente. La crisi economica, infatti, ha avuto effetti sui bilanci di tutti i Paesi e quindi anche sulla spesa militare, in un momento in cui, per contro, si chiede loro un contributo maggiore.
“Grazie a queste riforme vedremo l’Alleanza rafforzarsi”, ha affermato il Segretario Generale della NATO Anders Fogh Rasmussen. “Il paradosso è che, pur in un periodo di austerità, la NATO sarà più efficiente, più efficace e soprattutto più impegnata che in passato. La nostra risposta alla congiuntura economica sta nella cooperazione e nella definizione delle priorità”.
La semplificazione della catena di comando e della struttura delle Agenzie, nonché la razionalizzazione delle risorse e la loro assegnazione a progetti comuni sono i punti essenziali delle riforme concordate. Gli alleati hanno individuato e approvato un sistema di riferimento per la nuova catena di comando della NATO che è perfettamente coerente con l’attuale livello di ambizione. Il numero di Comandi militari sarà ridotto da undici a sette, con una rimodulazione in senso riduttivo dei volumi del personale di circa un terzo. Questa riduzione, benché condivisa, non incontra il favore di quei Paesi sul cui territorio questi comandi sono ospitati: perdere un Comando, significa dire addio anche gli introiti legati all’indotto che esso genera.
I leader dei paesi NATO hanno dato ulteriore spinta alle iniziative di riduzione del numero di Agenzie incaricate di sviluppare i programmi industriali militari, al fine di conseguire una maggiore sinergia tramite l’accorpamento di funzioni simili, accrescendo così l’efficacia e l’efficienza. A questo fine, i rispettivi Ministri della difesa approveranno un piano di attuazione nel corso del prossimo incontro, programmato per la primavera del 2011.
Altro punto centrale del summit è stato l’Afghanistan. Sono 48 le nazioni NATO e non NATO che partecipano alla Missione Internazionale di Sicurezza e Assistenza, o ISAF, posta sotto comando della NATO su mandato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. I rispettivi Capi di Stato e di Governo hanno appoggiato l’avvio della cosiddetta “transizione” a partire da gennaio 2011, ovvero il trasferimento della responsabilità della sicurezza e del governo del paese in mano afghana, che sarà completata, auspicabilmente entro il 2014, processo altrimenti detto di afghanizzazione. Sulla base di queste premesse, il Segretario Generale della NATO e il Presidente afghano Karzai hanno sottoscritto un accordo di partenariato di lungo termine per fare in modo che l’Afghanistan sia in grado di camminare con le proprie gambe, ma che non debba farlo in solitudine. In merito, il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha ringraziato pubblicamente l’Italia per il proprio contributo.
Su due punti Rasmussen è stato molto chiaro. In primo luogo, il completamento del processo dipenderà dalle condizioni sul terreno e non dai tempi pianificati a tavolino; come a dire che la data del 2014 è valida oggi, ma domani potrebbe cambiare. In secondo luogo, transizione non è sinonimo di ritiro, anzi. “La lotta dell’Afghanistan contro il terrorismo ha un significato globale – ha affermato il Segretario Generale, aggiungendo che “il successo è importante tanto per la NATO che per il popolo afghano”. Di fatto, dall’inizio del prossimo anno, le forze di sicurezza afghana inizieranno ad assumere la guida delle operazioni di sicurezza in alcuni distretti e province, con l’intenzione di espandere l’iniziativa a tutto il Paese entro la fine del 2014.
La NATO continuerà comunque a giocare un ruolo anche nel lungo periodo. Proprio a questo fine, è stato firmato un accordo di partenariato tra la NATO e l’Afghanistan che si estende al di là dell’attuale missione di combattimento. Questo significa che, anche quando gli afghani avranno la piena responsabilità della propria nazione, l’ISAF non scomparirà, ma si trasformerà in una missione di supporto. Al momento, il processo di formazione delle Forze nazionali afghane di sicurezza (che comprendono l’esercito, l’aeronautica e le forze di polizia e sono conosciute con l’acronimo inglese ANSF) procede senza sosta e rappresenta la chiave di volta del processo di transizione. Infatti, come è stato ricordato da più di parti durante il summit, solo quando l’Afghanistan potrà disporre di forze di sicurezza credibili e autosufficienti si potrà parlare di completamento della transizione.
Altro nodo irrisolto ma per il quale si pensa di aver individuato una soluzione è quello della riconciliazione e reintegrazione dei talebani cosiddetti “moderati”. Nelle parole del presidente Obama, la strada immaginata “è percorribile a condizione che questi elementi dichiarino incondizionatamente che rinunciano alla violenza e a qualsiasi tipo di collegamento con i gruppi di terroristi, e che riconoscono la validità della costituzione afghana”. Strumento essenziale per l’implementazione di tutti gli auspici è il nuovo concetto strategico della NATO, che fissa i futuri compiti dell’Alleanza per i prossimi dieci anni, oltre a riconfermare la volontà di reciproca protezione di un qualsiasi membro da parte di tutti gli altri. Il documento contiene l’idea alla base di un’Alleanza in evoluzione, un’alleanza politico-militare in grado di difendere i propri membri dalle moderne minacce attraverso una semplificazione della propria struttura e l’acquisizione di capacità idonee.
“Il mondo sta cambiando. Esistono nuove sfide e nuove minacce”, ha affermato il Segretario Generale della NATO, “ed è arrivato il momento che la NATO sviluppi nuove capacità e nuove forme di partenariato”. Attraverso il documento, si chiede agli Alleati di assicurare investimenti in capacità chiave per affrontare le sfide emergenti e per potersi difendere da minacce come attacchi portati con missili balistici e attacchi informatici. Se il Summit di Lisbona sarà un successo lo sapremo solo tra qualche anno. Di certo, fino a questo momento, ci sono solo alcuni dati, che però fanno sperare per il meglio: il numero di forze di sicurezza afghane è in continua crescita e in molte province e distretti le attività dell’ISAF si concentrano sempre di più, grazie soprattutto all’integrazione con capacità ed esperti civili, sulla ricostruzione del paese.
Infrastrutture come acquedotti, pozzi, strade e ponti sono al centro degli sforzi del genio militare, così come identica importanza assume la costruzione di scuole in cui le lezioni sono frequentate da un numero crescente di bambine, realtà prima impensabile. E’ stato questo uno degli aspetti maggiormente sottolineati: l’approccio dovrà essere globale e non limitarsi alla ricerca di una soluzione soltanto attraverso risorse di mezzi ed equipaggiamenti di tipo militare, ma prevedere una spinta integrazione con appropriate risorse civili. È quello che si chiama il comprehensive approach.
Chiunque pensava che l’Afghanistan fosse una questione di facile risoluzione, in questi quasi 10 anni di attività sul campo ha dovuto ricredersi. La differenza, rispetto al passato, la fa il tipo di approccio scelto: allora si tentò di conquistare il paese imponendo dall’esterno un modello statuale che nessuno avrebbe mai accettato. Come sia andata ai sovietici, lo dice la storia. Questa volta, invece, la costruzione dello stato e della nazione è affidata agli afghani stessi, affinché possano portarla a compimento nel rispetto delle proprie tradizioni. L’intervento esterno di oggi, di fatto, si limita a creare le condizioni perché tutti, afghani in primis, possano vivere in un paese in cui sono garantiti i diritti fondamentali della persona, in particolare delle donne e dei bambini, dove si combatte senza tregua la corruzione, la coltivazione e il commercio delle droghe, e in cui vige lo stato di diritto.
Il seme è gettato: la comunità internazionale ha costruito una serra. Ora tocca agli afghani prendersene cura.