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Vita da sordi: quando la sordità è una scelta che uccide

E’ fresca la notizia di una diciottenne travolta dal Frecciarossa, mentre indossava le cuffiette. Ed è anche un dilagare sulla pericolosità dei treni e sui sogni travolti di Lisa. Beh, onestamente non è corretto dire che il treno abbia investito la ragazza, ma viceversa è lei che ha investito il treno. Vivere da sordi può essere pericoloso, e ancor più quando di questo pericolo non siamo coscienti a tal punto da saperlo gestire.

 

 
Non parliamo, infatti, di una sordità organica per malattia, che amplificherebbe in noi un sentire alternativo e maggiori attenzioni, ma di una sordità per così dire “funzionale”, dove decidiamo di ignorare lo stimolo uditivo. L’isolamento autistico ed acustico, assai diffusi e complementari, sono amplificati – bensì non causati – dalla tecnologia. E rappresentano un pericolo a tutti gli effetti. L’assenza dell’udito ci taglia via uno dei canali sensoriali che sono parte integrante della propriocezione (ovvero la percezione di sé in rapporto al mondo), come gli occhi e la pianta del piede. Il rumore delle macchine, lo spostamento del vento, le vibrazioni, le voci sono segnali che ci permettono di muoverci nello spazio circostante. Da sordi risultiamo disorientati, e perdiamo anche la gestione integrata di noi stessi nei confronti degli imprevisti del mondo. La sordità per scelta ci rende così un sistema chiuso, mentre in realtà l’uomo e l’ambiente sono un sistema in continuo interscambio.

 

 
Certo, non è colpa degli auricolari o dello smartphone, in senso stretto. Questi sono degli strumenti della tecnologia, ma usati male diventano il volano per amplificare un bisogno autistico di isolamento relazionale e sociale. E’ fantastico avere la musica a portata di cuffiette ovunque ci troviamo. Ma è fantastico anche ascoltare il mondo dovunque ci troviamo.

 

 
Tra l’altro oggi avere le cuffiette in ear, cioè quelle che ti entrano ben bene dentro l’orecchio, a guisa di tappi perfetti, fa quasi “figo”. Le vediamo nei vari selfie, e c’è chi le tiene pure in stand by come diaframma protettivo: ornamentali e modaiole, quasi dei monili. A quanti sarà capitato di provare a parlare con l’amico chiuso nelle sue cuffiette, o di salutarlo magari all’altro capo del marciapiede, e di sentire l’assenza di risposta? L’autismo è, in fondo, assenza di espressione di un sé relazionale e integrato. Non sento gli altri e non ti faccio sentire me stesso.
Se non sentiamo le voci, figuriamoci se poi dell’altro riusciamo a sentire i pensieri, quando prova a raccontarceli, anche con qualche segnale di fumo.

 

 
di Daniela Rossi
 

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