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HomeRacconti in Vetrina#raccontinvetrina: La ragazza silenziosa

#raccontinvetrina: La ragazza silenziosa

Erano sedute al tavolo accanto al nostro e non facevano altro che parlare; come noi del resto, già al terzo whiskey sour. Parlavano di tutto, dalla musica alla potenza esistenziale delle droghe leggere, dalla ripetitività del sesso (colpa degli uomini) ai viaggi, dai vestiti all’importanza delle lingue, fino a certi ideali scoloriti.
“Quali ideali” ha detto lei.
Era soprattutto la ragazza riccia a prendere le redini della conversazione, dirottandola dove le piaceva, dicendo cose tipo “lo yoga è resurrezione” oppure “H&M è calato, certo, ma rimane pur sempre il miglior marchio di roba economica” fino a “non venirmi a dire che New York è sputtanata, che mi alzo e me ne vado: giuro”. Tutto questo mentre l’amica si limitava a scuotere la testa in senso affermativo o di diniego e, raramente, si spingeva a borbottare un placido “ma va?” oppure una piccola frase, come quella sugli ideali, giusto per dare all’amica il tempo di bere un sorso.
“Buono il Margarita?”.
“Strepitoso”.
E dopo essersi ravviata i capelli (sempre nello stesso, identico modo) la ragazza riccia riattaccava a parlare, veloce come un treno, come se l’altra nemmeno esistesse.
Quella che parlava sempre ogni tanto buttava l’occhio al nostro tavolo.
Noi ricambiavamo. “Non si sa mai” ha detto Lorenzo, alzando il calice verso le ragazze. La riccia aveva bellissimi occhi castani, oltre ai capelli dello stesso colore, ma la luce fioca del locale non li faceva brillare a dovere. Mentre la guardavo, pensai che dirigeva la sua personalissima orchestra col fare sicuro di un portiere di calcio vincente ed esperto, che poi è lo stesso fare del bidello delle superiori e del piccolo boss nei film di mafia; un fare aggressivo, ma non da vero leader.  Devo dire che il tutto, comunque, suonava più intenso di quanto fosse in realtà. Chissà, forse perché era un incanto di donna. Aveva questi lunghi capelli ricci, gli occhi da gatta, le gambe lunghe e il culo tondo, perfetto, che anche se non si era mai alzata dalla sedia, non potevi sbagliarti. Semplicemente, lo sapevi. Aveva questo modo di parlare coinvolgente e ritmato, al punto che il mio amico a un certo punto ha detto: “mi piace questa tizia, sembra un carillon”.
La ragazza riccia era anche benvestita, truccata e sorridente. Si vedeva che aveva vissuto un’infanzia felice, che tutti l’adoravano e che il meglio della vita si sarebbe impossessata di lei a qualsiasi costo.
Ma non era lei a piacermi. Mi piaceva l’amica, quella che ascoltava tutto e parlava poco , motivo che mi ha portato a farmela fissare per due interi minuti, incrociando il suo sguardo meno di due volte. La ragazza silenziosa non tirava occhiate al nostro tavolo, mai. Mi piaceva quella che aspirava grosse boccate di fumo e teneva la sigaretta stretta nella parte più bassa di indice e medio (sembrava potesse soffocarla da un momento all’altro) spingendola in fondo alla bocca fin quasi a far sparire il filtro. Tirate lunghe, lente e dense di significato: era spettacolare vederla fumare. Aveva la coda alta e un rossetto rosso fuoco. Indossava una maglia che sembrava un pezzo unico e aveva le mani bianche come il latte, le dita sorprendentemente lunghe. La maglia, grigia, con una specie di triangolo rovesciato, ricordava la famosa piramide di Maslow, quella al contrario. Non sarebbe stata bene a nessuno, tranne che a lei. Indossava un paio di pantaloni di pelle nera con un piccolo taglio alla caviglia e dei sandali senza tacco. Quando c’era una canzone di suo gradimento, picchiettava sul tavolo con quattro dita. Le piaceva far sentire il suono dell’anello che portava all’indice, lo stesso che brillava nella notte quando avvicinava la sigaretta alla bocca, ed io la vedevo, e tutte le volte sentivo un brivido che non capivo. Insomma, mi piaceva.
Ma non era la sera giusta, così decisi di ignorarla.
Ignorare chi?! Se quando l’avevo cercata con lo sguardo, non ero stato ricambiato mezza volta.
Fantasie.
Poi lei deve aver capito che stavamo per andare, Lorenzo si era già alzato dalla sedia. Allora si è voltata. Ha squadrato prima il mio drink, poi me, quindi mi ha puntato gli occhi in faccia: tesi e dolci, dicevano sono qui.
di Cesare Veneziani
 

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