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Emmanuele Emanuele: un Villaggio Alzheimer per uscire dall'isolamento

L’ Alzheimer rappresenta la più comune forma di demenza nel mondo. La stima di prevalenza in Italia è di 600.000 malati. I dati sulla popolazione della sola regione Lazio rivelano una incidenza di circa 8.600 nuovi casi/anno, 40.000 solo nella Provincia di Roma.
E’ necessario quindi progettare un approccio organico che riesca ad alleviare i sintomi della malattia e il disagio di chi assiste giornalmente i malati. Una iniziativa importante è quella portata avanti dalla Fondazione Roma con Hospice dedicato e il progetto in fase di avvio, dopo innumerevoli ostacoli, del Villaggio Alzheimer a Roma. Intervistiamo il Presidente della Fondazione Roma, il Prof. Emmanuele F.M. Emanuele.
L’Hospice da lei fondato è stato uno dei primi progetti dedicati ai malati di Alzheimer, come valuta questa esperienza?
Tra il 1997 ed il 1998, quando in Italia si registrava ancora una scarsa sensibilità per le tematiche inerenti le cure palliative, avendo avuto l’opportunità di osservare negli Stati Uniti una struttura oncologica all’avanguardia, ho maturato il progetto di creare a Roma un hospice, ovvero un centro di ricovero e cura dedicato specificamente all’assistenza medica e spirituale dei malati con breve aspettativa di vita. In quegli anni i centri dedicati alle cure palliative in Italia si contavano sulle dita di una mano ed erano concentrati nel Nord del Paese. Nell’Italia centrale, e a Roma in particolare, mancava una realtà di questo tipo, che si prendesse integralmente cura del paziente. L’iniziativa si è concretizzata nel 1999, con l’apertura di un reparto di dieci posti letto. Nel corso degli anni si è registrato un costante aggiornamento ed ampliamento dell’offerta socio-sanitaria, fino a giungere alla configurazione attuale dell’Hospice. Successivamente, su mio impulso, si è deciso di intraprendere un’attività di assistenza domiciliare anche ai pazienti affetti da Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) e da Alzheimer.
Offrire cure eccellenti, garantendo la centralità della persona, nel rispetto della sua dignità, costituisce la mission dell’Hospice. Ogni giorno malati con ridotta aspettativa di vita, pazienti affetti da SLA e da Alzheimer vengono seguiti, in regime di assoluta gratuità, grazie ad un’équipe multidisciplinare, composta da medici, psicologi, infermieri, fisioterapisti, assistenti sociali e spirituali. Dalla sua apertura l’Hospice ha assistito oltre 13.000 persone. Il livello reputazionale raggiunto dalla struttura è dimostrato anche dal fatto che essa è divenuta sede stabile di corsi di formazione specializzata per operatori sanitari, come il Master di Alta Formazione in Cure Palliative, il Master Universitario di primo livello in Cure Palliative e Terapia del Dolore per le professioni sanitarie dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
L’attività in favore dei malati affetti da patologie inguaribili nel percorso finale della loro vita, avviata per prima, è quella che ha raggiunto il più vasto numero di persone, ma grande impegno è stato profuso negli ultimi anni anche a beneficio dei pazienti affetti da Alzheimer e colpiti da SLA. Per questi ultimi, in particolare, è stata avviata un’importante collaborazione con l’Istituto Italiano di Tecnologia. Convinto come sono dell’efficacia dell’applicazione della robotica in campo sanitario, come in altri settori, abbiamo promosso l’avvio di un progetto denominato “TEEP SLA” (Tecnologie Espressive ed Empatiche per Persone con SLA), per la realizzazione di un assistente robotico in ambiente “intelligente”, in grado di influire sul benessere fisico e cognitivo della persona, che si indirizza soprattutto ai malati di SLA negli stadi più gravi, detti “locked-in state”, per i quali non esistono ancora tecnologie efficaci. Il progetto mira a favorire la comunicazione del paziente verso l’ambiente esterno, riducendo la sua sensazione di isolamento e contribuendo, di conseguenza, al miglioramento dell’umore e della volontà di vivere.
Al di là, dunque, della mia percezione personale, sono i fatti che parlano e rivelano la validità della mia intuizione originaria e l’efficienza crescente di una struttura di eccellenza per tutto il Centro-Sud del Paese. Colgo l’occasione, a tal proposito, per ringraziare la competenza, la professionalità e la generosità di tutti gli addetti, dai medici, al personale di assistenza, ai volontari del Circolo S. Pietro, a quello amministrativo e tecnico, senza i quali il riscontro di gradimento e di gratitudine da parte dei familiari dei pazienti ospiti dell’Hospice non sarebbe stato possibile.

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Emmanuele Emanuele

Quali altre azioni atte a contenere i disturbi del comportamento e a sostenere il caregiver familiare sono possibili?
Bisogna sempre partire dal presupposto che il malato, soprattutto quello affetto da Alzheimer e SLA, possiede in sé, seppur nascosta dietro l’apparente incapacità di comunicare o di riconoscere la realtà, un’abilità psichica residua, che va sempre attivata ed esaltata, con l’obiettivo di rafforzare nella persona i momenti positivi e far crescere la parte restante di “vita buona” che la malattia non cancella del tutto. Il metodo, l’approccio da preferire, dunque, è quello multidimensionale, che abbraccia tutte le sfere della persona, clinica, psicologica, sociale e che comprende necessariamente anche i familiari, in una specie di “alleanza terapeutica”, e considera nella loro grande importanza, l’ambiente circostante, perché tutto ciò può concorrere a rasserenare il malato e a farlo sentire accolto e considerato.
Per quanto concerne le terapie e le metodiche assistenziali, fortunatamente, verifichiamo costantemente un inarrestabile progresso ed un continuo aggiustamento in corso d’opera, grazie ai progressi della ricerca scientifica e tecnologica, che porta alla luce aspetti, fattori di causa ed effetto, concause prima non conosciuti, nonché elabora, anche col ricorso alla robotica, apparecchiature rivoluzionarie impensabili fino a pochi anni fa.
Sul caregiver che, nella nostra cultura è generalmente un familiare stretto, si concentra il carico maggiore di impegno e di responsabilità e, purtroppo, invece, è quasi sempre lasciato solo dal servizio sanitario pubblico e dalla burocrazia, la quale ultima appesantisce, piuttosto che alleggerire, gli oneri cui esso va incontro. Nel caso dei malati di Alzheimer e di SLA l’impatto sui familiari è devastante, e, quindi, si tratta di supportarli fin dal momento dell’insorgenza della malattia, con la relativa conferma della diagnosi, analizzandone il carico di stress, il lavoro di gestione delle proprie ed altrui energie, fino alle fasi progressive dei sintomi cui sono sottoposti; individuando alcuni strumenti di supporto e consigli pratici; fornendo indicazioni su come arrivare a comunicare correttamene ed a tranquillizzare il malato nelle diverse fasi di aggravamento dei sintomi, senza dimenticare la cura della propria persona, ad ogni livello, e dell’ambiente casalingo, allorquando il paziente è dimesso. Serve un costante aggiornamento dei protocolli di assistenza e delle buone prassi circa il rapporto malato/caregiver/famiglia, e lo stesso caregiver non può essere considerato solo come destinatario di istruzioni e indicazioni cogenti, ma deve essere messo nella condizione di manifestare le proprie specifiche difficoltà, cui la struttura sanitaria, le associazioni di volontariato, medici e specialisti devono dare risposta. Nel Centro Alzheimer della Fondazione Roma, ad esempio, l’alleanza virtuosa tra malato, operatore e caregiver si sperimenta quotidianamente a partire dai momenti condivisi negli spazi di aggregazione, ove vengono applicate le più diverse metodiche terapeutiche, dall’esercizio fisico e dalla dieta alimentare, agli stimoli offerti attraverso la musica, il disegno, dal coinvolgimento nelle attività domestiche (come preparare la tavola, cucinare, giardinaggio, lavori a maglia), agli intrattenimenti (giochi in famiglia tipo puzzle, tombola, bocce, ecc.), oppure ai lavori che stimolano la creatività ancora presente nel malato (la realizzazione di un collage, di un album, di oggetti con il legno), alla pet therapy, alle attività che sono in grado di sollecitare i ricordi. Sono, dunque, azioni a 360 gradi che vogliono coinvolgere tutti i protagonisti di una vicenda per molti versi drammatica, che va vissuta sì responsabilmente, ma anche cercando di ridurre l’inevitabile quota di sconforto e di ansia.
Altro progetto assolutamente rivoluzionario è questa sorta di villaggio dell’Alzheimer, dotato di parrucchiere, di spazi per lo sport, la socializzazione e la riabilitazione dei residenti, aperto ai familiari ed alla popolazione del quartiere, al fine di favorire la massima integrazione della struttura col tessuto sociale esistente. A che punto è la realizzazione?
Dopo difficoltà enormi frapposte per lo più dal soggetto pubblico e da una burocrazia pervasiva e paralizzante, che ha fatto di tutto per bloccare un progetto senza oneri per il Comune, in quanto interamente a carico della Fondazione Roma, diretto ad aprire nuove strade nei percorsi di assistenza alle persone affette da Alzheimer alternative al ricovero ed alla medicalizzazione tradizionali, nato dalla mia positiva esperienza ricevuta nel visitare una struttura residenziale in un villaggio vicino Amsterdam, è iniziata la fase di realizzazione nell’area individuata della Bufalotta, in cui partiranno i lavori di movimentazione terra per costruire le fondamenta dei lotti abitativi, destinati ad ospitare 100 persone affette da Alzheimer nei vari stadi, in qualità di veri e propri residenti di una struttura articolata e dotata di ogni servizio, aperta al contesto esterno ed al quartiere con i suoi abitanti, villaggio in cui gli operatori, rigorosamente senza divisa, si confondono nell’ambiente, assumendo un doppio ruolo, di parrucchiere, di cameriere, di commesso nei negozi, di portiere, ecc., tutto esattamente secondo l’esperienza pilota olandese. Se non vi saranno ulteriori ostacoli, contiamo di iniziare a rendere operativa la struttura, accogliendo i primi residenti, nei mesi iniziali del 2018, con la convinzione che l’esperimento diventerà un modello pionieristico di grande validità per il Paese intero nel fornire un approccio nuovo nell’assistenza alla forma più diffusa e grave di demenza senile del nostro tempo.
di Mario Masi e Rita Angelini

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