Di Marco Milano
Se pensate che l’Universo là fuori sia un gigantesco spazio vuoto dove far scorrazzare le astronavi del futuro, è meglio rivedere i programmi. O forse no. Nel dubbio, in questa settimana, si tenta di fare chiarezza su uno degli enigmi chiave della cosmologia attuale: la materia oscura. Dal 1 all’8 dicembre si tiene “The Dark Matter Awareness Week”. Più di 140 istituti di ricerca di 50 paesi in tutto il mondo hanno aderito all’iniziativa per affrontare, in questi giorni, lo stesso seminario, “Dark matter in galaxies”. Verrà discussa e condivisa, a livello mondiale, tutta la conoscenza finora raggiunta in tema di materia oscura, vale a dire quella frazione di massa nell’universo prevista teoricamente, ma impossibile da osservare direttamente. Una frazione piuttosto consistente, per la verità, pari a circa l’90% di cosmo.
In epoca moderna, risalgono agli anni ’70 le prime valutazioni su qualcosa di non chiaro, nell’osservazione dei corpi celesti. Gli astronomi di quegli anni scoprirono che, attenendosi rigorosamente alle leggi di gravità note fino ad allora, le galassie a spirale, come la Via lattea, avrebbero dovuto ruotare ad una velocità tale da farle sbriciolare già da molto tempo. La loro forza centrifuga – quella cioè che preme verso l’esterno – avrebbe dovuto prendere il sopravvento sulla gravità, ‘lanciando’ stelle e pianeti in giro per lo spazio. Se questo non succede, deve esserci un’altra forza, presumibilmente una massa, capace di frenare questo disastro cosmico. In tempi non sospetti, nel 1933, l’astronomo Fritz Zwicky chiamò per primo un’ipotetica massa mancante come materia oscura. Prendere a prestito quella definizione sembrò la cosa più adatta.
Ad oggi rimangono ancora aperti molti interrogativi sull’eventuale composizione di questa nube di materia che avvolge l’Universo osservabile. Non emettendo radiazione elettromagnetica, non è individuabile dai normali strumenti di indagine scientifica – da qui il termine oscura. E questo complica le cose. Si può aggirare il problema osservando gli effetti gravitazionali che provoca sulla luce, ma non basta. Le ipotesi, tuttavia, si sprecano. In un tripudio di particelle subatomiche, a comporre il misterioso puzzle, una delle teorie più abbordabili vuole la materia oscura formata da nane brune, stelle cioè mai nate per la ridotta quantità di idrogeno di cui sono composte.
E non mancano alcune prove della sua esistenza, seppur non risolutive: nel 2006, ad esempio, la NASA ha dichiarato di aver individuato delle tracce di materia oscura attraverso il Progetto CHANDRA, studiando lo scontro tra due galassie. Un anno più tardi, un lavoro di ricerca condotto presso l’ Hubble Space Telescope ha portato a termine una prima mappatura della materia oscura.
L’idea della manifestazione “The Dark Matter Awareness Week” – coordinata da Paolo Sallucci della SISSA (Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati) di Trieste è quella di tentare un salto di qualità in questo campo di studio, riunendo per la prima volta la piccola comunità di scienziati che studiano la materia oscura con la comunità più ampia di cosmologi, astrofisici e fisici delle particelle. “Una settimana per far luce sulla materia oscura”, insomma, come ha dichiarato lo stesso Sallucci. Un tentativo di fare network e dare una direzione più chiara ad una linea di ricerca necessaria per comprendere la natura dell’universo.
Se alla fine verrà incastrato quel 90% di massa mancante, non disperate per le vostre corse in astronave. Si potrebbe sempre usare la materia oscura come combustibile, chissà. Futurama insegna.