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A mai più rivederci


I ricercatori italiani? Non abitano più qui

Di Francesca Lippi

“L’estero ruba all’Italia i più bravi”. E’ quanto si legge nella quinta edizione del rapporto stilato dalla Fondazione Migrantes sugli Italiani nel Mondo. I numeri confermano quindi ciò che si percepisce già da diversi anni: i cervelli “fuggono” e raramente ritornano. Secondo il rapporto, infatti, sono migliaia i ricercatori italiani che vanno a cercare fortuna fuori del patrio confine. In più gli scienziati con performance elevate sono in gran parte già emigrati e lavorano da tempo nelle università e nelle imprese straniere.

Non torno più

Non è disponibile un censimento completo riguardo i ricercatori italiani all’estero: gli unici dati sono quelli forniti dalla banca dati “Davinci” (allestita dal Ministero degli Affari Esteri Italiano e che raccoglie informazioni sulla comunità scientifica italiana all’estero), da cui risulta che vi sono ben 2.000 scienziati italiani pressoché in tutte le più importanti università del mondo e in alcune imprese. Di questi, solo uno su quattro avrebbe intenzione di ritornare in Italia. Non sembra dunque che questi ricercatori sentano la mancanza dello Stivale (né che il Paese si preoccupi di questa perdita). La maggior parte dei ricercatori si dice soddisfatta della vita condotta all’estero, socialmente e lavorativamente. E in Italia vi è poca sensibilità nei confronti dei connazionali “fuori casa”. La Fondazione Migrantes mette in guardia: questo “oltre a generare amarezza, priva il Paese di possibili piste di rinnovamento indispensabili in questa fase di stallo, aggravata dalla crisi internazionale”.

Integrato, soddisfatto e ‘maturo’

"Scienza e tecnologia in cifre 2010"

Quest’anno la Fondazione si è concentrata sull’emigrazione italiana in Canada, Francia, Regno Unito, Romania e Spagna. In questi paesi pare che il 67,2% degli italiani intervistati abbia “un’istruzione secondaria medio-alta, si senta per lo più integrato nel paese di accoglienza, dove non ha problemi di lingua, è proprietario di casa e si ritiene soddisfatto del lavoro che conduce”. Ottime notizie quindi. Peccato che queste persone non pensino minimamente di far rientro in Italia. I ricercatori espatriati, però, “ci tengono a precisare che quanto conquistato è frutto di anni di sacrificio e di un percorso di vita in cui hanno dovuto affrontare e superare prove dure e inevitabili”. Insomma, siamo di fronte al fenomeno di una emigrazione matura e consapevole e questo anche perché i fuggitivi non sono più giovanissimi. Pare che il 50% degli scienziati italiani all’estero ha una età compresa fra tra i 30 e i 39 anni, mentre addirittura un terzo ha più di 40 anni. E la maggioranza ha dichiarato che, prima di lasciare l’Italia, non aveva un lavoro. Attualmente costoro sono impegnati prevalentemente nel settore scientifico e sono riconoscenti di avere trovato all’estero una maggiore gratificazione professionale.

Dove vanno i più bravi

L’Istituto di ricerca sull’impresa e lo  sviluppo Ceris del Cnr ha appena pubblicato la seconda edizione di “Scienza e tecnologia in cifre 2010”, ovvero i dati sui ricercatori italiani e a livello internazionale. L’opuscolo riporta i numeri sulle risorse finanziarie ed umane, sugli interventi e sul finanziamento per Ricerca e Sviluppo in Italia, nell’Unione e nei Paesi Ocse.  Ed emerge che i ricercatori italiani che operano nel Belpaese sono inferiori alla media europea. Gli impietosi numeri snocciolati dal Ceris-Cnr avvalorano le parole del Presidente della Repubblica. Secondo quanto detto da Giorgio Napolitano in occasione della Giornata Internazionale del Migrante “a lasciare il nostro Paese definitivamente, sono spesso brillanti laureati e  ricercatori, tecnici, imprenditori, personale altamente qualificato”. Il Presidente parla di una vera e propria “emorragia di talenti” che –dice- rappresenterebbe “una perdita  per il nostro paese e un segnale di debolezza del nostro sistema scientifico e produttivo, della sua capacità di mettere a frutto  risorse umane, di selezionare e promuovere in base al merito”. Infatti i dati del 2007 sul personale di ricerca impegnato in Italia, indicano che i ricercatori in rapporto a mille unità di forza lavoro sono appena 8,43. Al di sotto della media dell’Unione quindi (con 9,97 ogni mille unità).

Risultati preoccupanti si hanno anche dalla graduatoria Top Italian Scientists, da cui risulta che l’Italia ha i suoi migliori scienziati oltr’Alpe. La prova provata la danno i 12 italiani insigniti del premio Nobel in chimica, fisica e medicina. Fra questi solo Giulio Natta – che ottenne il prestigioso riconoscimento nel ’63- condusse le sue ricerche in Italia.

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