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"Silence", l'ultima sfida di Scorsese tra dubbio e fede

“Silence”, l’ultimo film di Martin Scorsese, è basato sull’omonimo romanzo dello scrittore Shūsaku Endo.
1633, i giovani gesuiti portoghesi Padre Rodrigues e Padre Garupe partono per il Giappone alla ricerca del loro mentore, padre Ferreira, increduli delle voci secondo le quali avrebbe rinnegato la fede, cedendo alle torture dell’Inquisizione nelle terribili persecuzioni cui erano sottoposti i giapponesi convertiti al cristianesimo e i missionari europei.
“Dall’istante in cui metterete piede in quel Paese sarete in costante pericolo”. E così sarà, ma più ancora che per la loro incolumità fisica, per quella spirituale. Da Macao i due preti arrivano in Giappone guidati da Kichijiro, un giapponese convertito al cristianesimo, la cui debolezza morale ha fatto sì che abiurasse e vedesse morire l’intera sua famiglia che non ha voluto rinnegare Dio.
Personaggio importante Kichijiro secondo Scorsese:“…il più affascinante e intrigante di tutti. Kichijiro è costantemente debole, e causa continuamente danni a se stesso e a molti altri, tra cui la sua famiglia. Ma poi, alla fine, chi c’è accanto a Rodrigues? Kichijiro. Egli era stato, si scopre, il grande maestro di Rodrigues. Il suo mentore. Il suo guru, per così dire. Ecco perché Rodrigues lo ringrazia alla fine”.
La situazione che si presenta a Padre Rodrigues e Padre Garupe una volta in Giappone è da “primi cristiani”, costretti alla clandestinità e alle catacombe. Devono presto separarsi, e reagiscono in maniera assai diversa alla situazione disperata che si trovano davanti, quando toccano con mano la lucida violenza dell’Inquisizione (“Il prezzo della vostra gloria è la loro sofferenza”) e la commovente dimostrazione di fede di tanti giapponesi convertiti. Garupe, dapprima impaurito, tirerà fuori l’orgoglio, ma forse anche la presunzione, della Vera Fede; Rodrigues invece, attraverserà una grave crisi spirituale, che si acuirà nell’incontro con Padre Ferreira (“se Dio fosse qui avrebbe abiurato”). E nel silenzio, forse, ritroverà sé stesso: “soltanto Dio può rispondere”.
Acquisito i diritti del romanzo di Shūsaku Endō all’inizio degli anni Novanta, Martin Scorsese realizza insieme a Jay Coks una prima bozza concreta della sceneggiatura ancora nel dicembre 2006, e ne vede la realizzazione dieci anni dopo.
“Un lungo processo di gestazione – riferisce il regista in un’intervista a Civiltà Cattolicadiventato un modo di vivere “con la storia” e di vivere la vita “attorno a essa”. Attorno alle idee che erano nel libro. E da quelle idee sono stato provocato a pensare di più sulla questione della fede” – una sorta di pellegrinaggio verso la realizzazione del film nel quale – “il romanzo di Endo, era una specie di sprone a riflettere sulla fede; sulla vita e su come si vive; sulla grazia e su come la si riceve; su come alla fine esse possono essere la stessa cosa”.
E più avanti dice: “A me interessa come le persone percepiscono Dio, o, per così dire, come percepiscono il mondo dell’intangibile. Ci sono molte strade, e penso che quella che si sceglie dipenda dalla cultura di cui si fa parte… Fin da ragazzo mi sono convinto che la pratica non è qualcosa che avviene soltanto in un edificio consacrato e nel corso di certi riti svolti a una certa ora del giorno. La pratica è qualcosa che accade fuori, sempre. Praticare, davvero, è fare qualsiasi cosa tu faccia, di buono o di cattivo, e riflettere su questo”.
E il frutto di questo “pellegrinaggio” di Scorsese è un’opera interessante nel contenuto e nella forma, che può stare al pari con le cose migliore del regista di questi ultimi anni, grazie anche al lavoro dei suoi collaboratori abituali: Rodrigo Prieto alla fotografia, Thelma Schoonmaker al montaggio, Dante Ferretti ai costumi e insieme a Francesca Lo Schiavo alla scenografia, e alla colonna sonora curata stavolta di Kim Allen e Kathryn Kluge.
Quanto al cast: bravo Andrew Garfield (che vedremo presto protagonista del nuovo film di Mel Gibson “La battaglia di Hacksaw Ridge”) a rendere palpabili i tormenti spirituali di padre Rodrigues; di Adam Driver (padre Garupe) sappiamo essere un vero astro nascente del panorama mondiale della settima arte. C’è poi il sofferto Padre Ferreira di Liam Neeson e il cameo iniziale di Ciaran Hinds (padre Valignano). Ma non vanno dimenticati Issei Ogata nei panni dell’Inquisitore, Yōsuke Kubozuka in quelli di Kichijiro e Shinya Tsukamoto in quelli dell’anziano Mokichi.

di Dino Geromel (Tutti al Cinema Appassionatamente)

 

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