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Misfits, l'horror punk di Doyle al Traffic di Roma


Prendete un bicchiere di CocaCola. E buttateci dentro un’aspirina. Otterrete quanto visto e sentito ieri sera al Traffic di Roma. Doyle non ha bisogno di presentazioni. Tutti lo conoscono come membro fondatore, insieme al fratello Jerry Only e a Danzig, nel lontano ’77, di una delle band più influenti nello scenario punk rock e metal di tutti i tempi: i Misfits. Il suo attuale super-gruppo, formato da Alex “Wolf” Story (già cantante dei Cancerslug) e Brandon Pertzborn (giovanissimo talento già batterista dei Black Flag) si trova in Italia per una serie di date a supporto del loro primo e unico album Abominator, del 2013.
Quando la band sale sul palco, veniamo immediatamente investiti da un’ondata di nostalgia horror punk. Doyle, in piena forma fisica, non ci delude minimamente, portando con disinvoltura il suo immortale devilock (il ciuffo accorpato e portato in avanti fin quasi al mento) e il suo trucco bianco cadaverico.
La prima canzone ci colpisce come un pugno allo stomaco, ma non fa male, anzi. E’ la title track Abominator, seguita senza pause da Headhunter, sempre dall’omonimo album. C’è tanto heavy metal e tanto sludge, ma chiaramente non mancano i temi tanto cari ai Misfits, teste mozzate, tombe, zombie, cimiteri e morti viventi.
Sebbene si tratti della band di Doyle, Alex Story & Co. non vivono neanche lontanamente l’ansia da prestazione. Alex è un animale da palcoscenico, coinvolgente, selvaggio, con una personalità molto spiccata, energia a palate. Brandon Strate al basso non è da meno e Petzborn alla batteria ci regala velocità impossibili e un drum solo di tutto rispetto a metà concerto. Doyle ci osserva col suo sguardo arcigno e nero, fa le bolle con la sua big babol rosa, conferendo un aspetto ancora più grottesco alla sua mise dell’oltretomba.
Arrivano per la gioia di tutti alcuni pezzi dei Misfits, e qui l’atmosfera del Traffic si incendia. Ciuffi roteanti prendono posto nelle prime file, sudore, la matita che cola dagli occhi di donne e uomini indifferentemente, giacche in jeans e pantaloni di pelle. Borchie e spille da balia. Patches col teschio dei Misfits, ormai uno status symbol, anche per chi dei Misfits non sa niente.
Si susseguono senza respiro Queen Wasp, Where Eagles Dare, Devilock. Poi un’altra canzone dall’album Abominator, CemeterySexxx; si passa quindi nuovamente dall’horror-punk allo sludge metal senza però perdere ritmo e consistenza. Tornano i Misfits con Green Hell, Bloodfeast e Last Caress, poi a sorpresa arriva una bellissima versione di Strutter dei Kiss, graditissima dal pubblico e cantata anch’essa a squarciagola.
Ogni canzone viene presentata da Alex Story con un aneddoto. Sempre lo stesso. “The next song is a love song. You can dance to it if you like”. E ripartono a fulmicotone Skulls e Die Die Die My Darling, col solito piglio esplosivo, tutti ormai in un bagno di sudore e Jack Daniels.
Certo a prima vista di romantico c’è ben poco in queste canzoni. La setlist sembra un racconto di Lovecraft o di Edgar Allan Poe. Un film horror di A. Romero. Eppure niente, la musica ci insegna ancora una volta una lezione di vita. E cioè che l’amore non ha limiti né confini. Nell’atmosfera rarefatta del Traffic aleggia questa nenia, una dichiarazione quasi ossessiva “I want your skulls, I need your skulls…
Doyle lo sa bene. Anche gli zombie si amano.
 
di Giorgia Atzeni

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