Come sarebbe cambiata la storia della natività se Gesù Bambino fosse nato nel 2010? E questo l’interrogativo al quale cerca di rispondere un simpatico filmato che gira in rete in questi giorni. Maria riceve l’Annunciazione da parte dell’Arcangelo Gabriele via SMS, comunica con San Giuseppe via Gmail, i Magi acquistano oro, incenso e mirra su ebay e il filmato del loro omaggio viene postato quasi in tempo reale su YouTube, con buona pace degli agnostici. Il filmato si conclude con una frase emblematica: “I tempi cambiano, ma i sentimenti rimangono gli stessi”. Sentimenti ispirati dalla celebrazione, anno dopo anno, di tradizioni che oramai sono cristallizzate nel nostro codice genetico.
L’abitudine di associare l’abete al Natale, ad esempio, risale alla fine del XIX secolo e precisamente coincide con il viaggio del Principe Alberto di Germania, che raggiunse l’Inghilterra per sposare la Regina Vittoria. La famiglia reale decise di decorare l’albero che il giovane rampollo di sangue blu recava con sé con piccoli doni, giocattoli, candele e dolciumi. Otto anni dopo, una fotografia di quell’alberello apparse sulla stampa londinese, sdoganando l’idea. Altro ‘fatto’ pseudo-storico riguarda le calze, che in Italia sono associate alla Befana, ma nel Nord Europa sono generalmente un tutt’uno con la mensola del caminetto prima del Natale.
Narra la leggenda nordica che un vedovo, molto triste per la morte della propria compagna di vita, avesse anche problemi di liquidità tutt’altro che trascurabili (la crisi non ha tempo) e che Babbo Natale si trovasse proprio dalle sue parti. Conoscendone il carattere orgoglioso, il barbuto e panciuto benefattore decise di donargli delle monete d’oro facendole scivolare lungo il camino e queste, così dice la leggenda, finirono per cadere nelle calze delle figlie stese ad asciugare nella parte interna dello stipite del camino. Ecco perché nella calza, ancora oggi, si mettono anche delle monete d’oro … purtroppo solo di cioccolato. La tradizione, però, affonda le proprie radici anche in epoche più lontane. Uno dei cibi più apprezzati durante il periodo della Roma imperiale era il pangiallo (così si chiama a Roma ancora oggi, ma lo stesso dolce assume nomi diversi nelle varie regioni italiane), ovvero un misto di frutta secca, miele e cedro candito, poi cotto e ricoperto da uno strato di pastella d’uovo, che si mangiava in corrispondenza del solstizio d’inverno, per invocare il ritorno del sole. L’espansione dell’impero ha poi portato all’aggiunta di altri prodotti tipici della periferia dell’impero, come mandorle, noci, pinoli, nocciole, uva passa e pistacchi. La ragione di tanta fortuna sta anche e soprattutto in considerazioni di tipo pratico. La frutta secca è molto resistente alla macerazione e il suo annegamento negli zuccheri del miele ne aumentava ancor di più la durata.
Un altro classico, almeno nelle famiglie di credenti, è il presepe, o presepio. Sono gli evangelisti Luca e Matteo i primi a descrivere la Natività. I brani dei Vangeli di cui sono autori racchiudono la rappresentazione di questo momento che, a partire dal medioevo, prenderà il nome latino di praesepium, ovvero recinto chiuso, mangiatoia. A partire dal IV secolo la Natività diviene uno dei temi dominanti dell’arte religiosa, mentre il presepio nella sua forma attuale nasce, secondo la tradizione, nel 1223 a seguito di uno specifico desiderio di San Francesco di far rivivere in uno scenario naturale la nascita di Betlemme. E arriviamo finalmente all’aspetto più pratico del Natale: i regali. Anche in questo caso, l’abitudine si fa tradizionalmente risalire all’antica Roma. I suoi abitanti, infatti, erano soliti scambiarsi, in occasione delle feste e del primo giorno dell’anno, dei regali chiamati, ancora oggi, strenne. Tale consuetudine si ricollegava a una tradizione secondo cui, a capodanno, all’imperatore veniva offerto in dono un ramoscello raccolto nel bosco della dea Strenua (o Strenna), venerata da Latini e Sabini, e secondo alcuni pure dagli Etruschi. Etimologicamente, Strenua significa salute, forza. In greco antico, infatti, strenòs significa forza e in italiano è l’avverbio strenuamente che indica ciò che è fatto con forza e volontà. Questo rito augurale si diffuse tra il popolo e, ben presto, i rametti di alloro, di ulivo e di fico vennero sostituiti da regali vari (e veri).
Del regalo giusto abbiamo già parlato in precedenza in un altro articolo, ma ciò che è importante è che sia qualcosa fatto col cuore. In fondo, un regalo non è qualcosa di obbligato, ma semplicemente una manifestazione di affetto e un riconoscimento per quanto le persone hanno fatto per noi durante l’anno. E poi cosa c’è di meglio che farli i regali? E non solo a Natale… Auguri a tutti!