di Lara Ferrara
L’intensità con cui Cuaron torna alle proprie radici e racconta il Messico della sua infanzia, racchiusa in una narrazione visiva fluttuante. Una bolla di memorie in un bianco e nero che si mescola in ricordi nostalgici e denuncia sociale.
Non ci sono negozi di sigari nella “Roma” di Alfonso Cuarón che dopo “Children of Men” e tutto lo spazio esterno in “Gravity”, attraversa una versione molto più quotidiana della realtà con questo splendido film.
Girato in 65mm in bianco e nero, il film racconta la storia di una famiglia borghese di Città del Messico negli anni ’70, vista soprattutto dagli occhi della loro governante, Cleo (la dolcissima Yalitza Aparicio).
Un film dove risplendono le immagini senza grandi effetti speciali, ma con un grande emozione e umanità. Ricamati su momenti di quotidianità.
Ambientato nei primi anni Settanta, si apre con una lunga sequenza di Cleo che strofina il vialetto, l’acqua che riflette i getti che volano in alto rispecchiando il cielo. Come fosse un atto di purificazione.
La storia s’intreccia in un modo organico, mai consapevole di sé.
“Roma” si riferisce al quartiere di Città del Messico dove il film è ambientato, un chiaro richiamo a Fellini. Il maestro italiano approverebbe sicuramente i momenti di festa del Capodanno in cui i ricchi proprietari terrieri bevono e cantano mentre i campesinos estinguono un incendio boschivo, o una scena in cui Cleo, la protagonista, si aggira per le strade fangose di un quartiere povero mentre, sullo sfondo c’é un raduno politico in atto.
Il film “Roma”(che è stato concepito in un dialetto indigeno ,conosciuto come Mixteca) guarda lo spettatore con gli occhi espressivi di una dea incorniciati dall’impatto sonoro di un cinema a momenti silenzioso,che passa da una violenta protesta di strada a lunghe riprese di vie trafficate da gente in maschera… Dall’atmosfera surreale.
Un film che mi ha fatto innamorare. Assolutamente da vedere.