L’ultimo bollettino dell’Ordine provinciale di Roma dei medici chirurghi, registra che “per il progressivo invecchiamento della popolazione, nel nostro paese cresce in maniera esponenziale la domanda di salute. Eppure, a fronte delle scarse risorse pubbliche, ci permettiamo ogni anno di buttare dalla finestra oltre dieci miliardi di euro, a causa della scarsissima serenità in cui siamo costretti a svolgere il nostro delicato ruolo professionale. E’ l’effetto appunto del massiccio ricorso alla medicina difensiva”.
L’Ordine dei medici ha presentato nel novembre scorso al Convegno dal titolo “Chi si difende da chi? E perchè?” presso la sala Capitolare del Senato, la prima ricerca nazionale sul fenomeno della “medicina difensiva” realizzata dall’Ordine provinciale dei medici-chirurghi. Ma cosa s’intende esattamente per “medicina difensiva”? Essa viene applicata quando all’arrivo in Pronto Soccorso di pazienti malati, i medici ordinano test, visite, procedure, analisi di ogni tipo, anche molto costose come tac e risonanza, per ridurre la loro esposizione a un giudizio di responsabilità per “malasanità”. Dai dati della ricerca emerge nettamente che la “fotografia dello stato d’animo dei medici italiani mostra nuovamente una categoria professionale che si sente sotto assedio, giudiziario e mediatico, e vive il proprio lavoro con un forte timore di finire in tribunale e/o esposti negativamente all’opinione pubblica”.
Sui media infatti fioccano titoli e articoli a piena pagina sulla ‘colpa professionale medica’, con tanto d’indicazioni e riferimenti di associazioni alle quali rivolgersi in caso di ‘presunti’ errori da parte dei medici. A pazienti, parenti etc, viene proposto un contenzioso a costi zero. Sui giornali è in atto un’ampia campagna di diffamazione della categoria dei medici: emergono solo i rari casi di ‘malasanità’, che di solito rientrano in una casistica contemplata in ogni convegno specialistico. La situazione è differente. La Sanità avrà le sue difficoltà, ma funziona. Il successo è la normalità, ma purtroppo non fa notizia. Sono migliaia i medici che ogni giorno mettono a disposizione del prossimo la loro professionalità, di solito ad alto livello specialistico, per curare e, spesso salvare la pelle alle persone.
Il prof. Claudio Piccone, Primario del Reparto Urologia del S. Filippo Neri è amareggiato, come la maggior parte dei suoi colleghi, per la difficile situazione dei medici italiani il cui Ordine, avrebbe “soluzioni concrete” da proporre alla politica sanitaria, ma resta inascoltato. Anche il Professore rileva che il problema principale è quello della medicina difensiva, attuato da tutti medici per salvaguardare la propria fedina penale. “Il problema crea una grande pressione su noi medici, in particolare chirurghi. Questo è un lavoro in cui si è bravi se il rischio viene minimizzato. Ma il rischio non può essere eliminato. Quindi, purtroppo, se si manifesta una complicanza, che è prevista anche se in una percentuale bassa, e questa viene presa come una colpa professionale, allora non possiamo più lavorare. Noi medici-chirurghi possiamo dare due soli tipi di garanzia: la prima è la garanzia professionale. Proponiamo al paziente una proposta terapeutica fatta da una persona competente, con esperienza. La seconda è la garanzia di struttura: in relazione al tipo d’intervento terapeutico che proponiamo, con le possibile complicanze che questo può provocare, la struttura, nei limiti dell’umano, può tamponare situazioni d’emergenza. Una garanzia di ‘risultato’ nessun medico del mondo può darla. Perché non si tratta di meccanica automobilistica. Posso fare un intervento tecnicamente perfetto e avere delle complicanze, che poi purtroppo non sempre producono il risultato desiderato”.
Le denunce ai medici sono all’ordine del giorno dunque?
Sì e la cosa triste è che all’uscita del S. Filippo Neri è pieno di avvocati che aspettano i parenti dei pazienti e li informano che Se ci sono dei problemi, i medici sono tutti assicurati, li denunciamo per ottenere dei rimborsi .
Le assicurazioni vi tutelano adeguatamente?
Assolutamente no. Noi medici-chirurghi siamo diventati una categoria a rischio per le assicurazioni. Non ci vuole assicurare più nessuno perché purtroppo (come evidenziava l’ultimo bollettino dell’Ordine dei Medici), l’aspettativa che parta una denuncia per un ospedaliero, è attestata intorno al 70%. Nell’ufficio legale del S. Filippo Neri, nonostante si tratti di un Ospedale di altissima specialità, siamo sommersi dalle denuncie. L’80% di queste denuncie finisce poi con un nulla di fatto. La verità è che dietro ci sono dei grossi interessi economici di varie categorie: la pletora di avvocati che ci sono in Italia, che in qualche maniera devono lavorare. E i medici legali, che vengono chiamati a svolgere le perizie a seguito della denuncia. In genere questi non hanno la competenza specifica del settore e devono essere affiancati da periti clinici specialisti. Io stesso faccio il perito e collaboro con i medici legali. Hanno tutto l’interesse che ci sia un contenzioso, per poter lavorare. Ho fatto una serie di perizie e in coscienza, ho scagionato colleghi che erano stati imputati e i medici legali mi hanno rimproverato di scagionare tutti: “Così il Pubblico Ministero non ce le dà più le perizie”- mi rimproverano- “Il vero interesse del P.M. è fare processi”. Riguardo all’assicurazione poi, l’ospedale copre i rischi civili, ma non quelli penali alla cui copertura dobbiamo provvedere noi personalmente. E quando accade di venire denunciati, anche solo una volta e magari anche di essere scagionati, l’assicurazione disdice immediatamente il contratto e nessun’altra assicurazione, anche tra le più note, è disposta a stipularne uno nuovo, mettendoci in grave difficoltà.
Perché i media parlano solo di malasanità?
Riguardo ai media, ho assistito personalmente a telefonate da parte di redazioni di quotidiani e giornali, anche importanti, con la seguente richiesta:”Dottò, oggi non abbiamo notizie, ci dà qualche informazione su cosa è successo di grave in ospedale…?
Quali sono le implicazioni legali per voi medici?
L’Italia è una delle poche nazioni in cui rispondiamo non solo civilmente, ma anche penalmente. Ma un conto è rispondere penalmente perché io vengo a operare ubriaco, oppure sotto psicofarmaci o droghe. Allora quello è davvero ‘omicidio colposo’. Ma se io faccio un intervento a elevato rischio e non posso fare nulla per eliminare quel rischio e succede qualche complicanza, peraltro prevista, e poi vengo denunciato semplicemente perché ho cercato di salvare la vita a una persona, non è corretto.
La firma da parte del paziente del ‘Consenso informato’ non vi tutela?
Assolutamente no. Non farlo firmare significa essere condannati all’istante. Ma anche la firma del consenso, più che dettagliato, non comporta alcun tipo di esclusione di responsabilità.
Da questo panorama nasce dunque la ‘medicina difensiva’?
Sì, la situazione ci mette addosso una forte pressione e quindi noi medici sottoponiamo il paziente ad accertamenti magari pleonastici, o raddoppiati, perché si ha paura di venire denunciati. Oppure, dopo aver fatto al paziente tutti gli accertamenti, lo s’informa di essere ad alto rischio e lo si manda presso una struttura più adeguata al suo caso, dove si ricomincia tutto daccapo e gli vengono rifatti tutti gli accertamenti per l’iter diagnostico. Tutto questo ha dei costi altissimi per la struttura ospedaliera. Viene meno la serenità nel fare questo lavoro. La mia mission dovrebbe essere quella di ‘salvare il prossimo’. Ma se per farlo io devo continuamente essere sottoposto a un possibile giudizio o quant’altro, non si lavora con serenità.
Arrivo al prof. Piccone da una segnalazione di efficienza della Sanità, ricevuta da un noto giornalista televisivo, al cui fratello ha salvato la vita. Una storia come tante, andata a buon fine. E’ giusto renderla nota, una volta tanto.
Ci racconti il caso di ‘buona’ sanità che mi è stato segnalato.
Arriva in pronto Soccorso R.G., un giovane di trentasei anni con una colica renale. Viene sottoposto a una visita e a uno screening di 1° livello, dove i colleghi, veramente in gamba, hanno il sospetto che ci sia qualcosa di più grave. Viene mandato nel nostro reparto (Urologia) e nel giro di 8 gg gli vengono fatti gli esami più raffinati in termini di diagnostica per immagini. Nel frattempo il paziente viene studiato dal punto di vista generale e nel giro di 10 gg viene operato, poiché si trattava di un tumore del rene e gli viene salvata la vita. L’esame istologico ha dimostrato una completa asportazione della malattia. Di questi casi ce ne sono migliaia al giorno. Si dà per scontato che questo debba accadere, ma non lo è. E non è neanche scontato però, che un intervento di questo genere, con una grossa massa renale aderente ai grandi vasi dell’organismo, fili sempre liscio. La normalità è che tutto vada bene, perché la professionalità degli operatori e le garanzie della struttura permettono un buon risultato. Vorrei però sottolineare che per questo tipo d’intervento è previsto da tutti i congressi di settore l’1% di mortalità. Noi siamo un centro di alta specializzazione, per cui se noi in due anni facciamo 100 di questi interventi, è statistica prevista nei congressi, che un paziente muoia. Dunque sono già consapevole che nel giro di due anni mi prendo una denuncia per omicidio colposo. E’ inaccettabile, ma questi sono i dati.
Il prof. Piccone conclude ricordando che “la Sanità pubblica italiana dà lezioni di civiltà a tutto il mondo e che negli altri paesi europei gli ospedali non accettano gli extracomunitari irregolari. Noi in Italia diamo assistenza ad altissimo livello a chiunque. Questo si riflette inevitabilmente sia sull’efficienza, per sovraffollamento, sia sui costi. Si vuole fare della Sanità un’azienda, ma non è pensabile. La Sanità è un buco nero ed è per definizione in perdita se si vuole essere una nazione civile. Ma la civiltà comprende anche l’accoglienza degli stranieri che trent’anni fa non si vedevano negli ospedali. Oggi, un terzo dei letti sono occupati dagli extracomunitari”.
In conclusione, le necessità del nostro paese in questo settore sono perfettamente sintetizzate dal dott. Mario Falconi, Presidente dell’Ordine dei medici di Roma: “E’ estremamente necessaria la costruzione di una nuova, vera, politica in materia sanitaria, per arginare il fiume in piena di malcontento popolare e professionale, dell’inefficienza e delle diseconomie del sistema, includendo nel dibattito politico anche gli Ordini, i Sindacati e le Società scientifiche dei medici”. Medici e cittadini sono fiduciosi.
Foto in licenza CC: Ismael Alexandrino
Malasanità all’Istituto Tumori Regina Elena Roma (Dr. Cognetti la vergogna della scienza)
Spett.le Redazione,
Vorrei sottoporre alla Vostra attenzione la mia triste storia di ennesima vittima di malasanità…questa volta dell’ IFO di Roma, più precisamente del Dr. Cognetti e del Dr. Ferretti.
Mia madre 72 anni affetta da adenocarcinoma è stata ricoverata all’IFO di Roma e sottoposta a cure e trattamenti chemioteratipi sperimentali che la hanno condotta a morte nel giro di 3 settimane. Il dr. Cognetti di Medicina Oncologica A, si è approfittato dello stato di depressione e scoramento di mia madre (che voleva continuare a vivere) per farle firmare un consenso informato per chemioterapici sperimentali non adatti ad una paziente nello stato fisico di mia madre.
Alla prima grave complicazione (una copiosa emorragia) il dr. Ferretti si è rifiutato di trasferirla in ospedale più idoneo (Visto che l’IFO-Istituto Nazionale Tumori – Regina Elena è sprovvisto di Pronto Soccorso e di Rianimazione), facendo morire mia madre per emorragia sotto gli occhi impotenti dei figli.
Non contenti di ciò, il dr. Cognetti ha proceduto contro la volontà dei figli ad una autopsia per “blindare” la posizione dell’ospedale in relazione alle gravi negligenze commesse, ed ha proceduto personalmente alla contraffazione della cartella clinica in relazione alle cure/farmaci e quant’altro somministrato a mia madre.
Questi criminali che in nome della scienza seviziano e portano a morte pazienti oncologici, utilizzandoli come cavie da laboratorio…vanno fermati.
In Fede
Simone Ballatore