Di Valentino Salvatore
Dopo le rivolte che stanno sconvolgendo il Nord Africa, come quelle più recenti e violentissime nella Libia di Gheddafi, qualche vagito di mobilitazione risuona anche in Cina. Rivoluzioni, quelle in Tunisia ed Egitto, che hanno avuto una sentita partecipazione popolare e che anche grazie ad internet hanno avuto slancio, rimbalzando sugli schermi di tutto il mondo. I manifestanti cinesi hanno preso in prestito come simbolo proprio il gelsomino dalla rivoluzione tunisina, che ha portato alla fuga il presidente Ben Ali. Nella tranquilla Pechino, c’è stata ieri una mobilitazione che non si vedeva da tempo, arrivata fino a Wangfujing, la locale via dello shopping. Proprio a poca distanza da piazza Tienanmen, teatro nel 1989 di una clamorosa protesta, repressa poi nel sangue. Dopo la pubblicazione di un messaggio su internet che invitava a protestare, un gruppo di manifestanti è sceso in strada. Circondati da una folla di curiosi – nonché agenti in borghese e forze dell’ordine – hanno lanciato mazzi di gelsomini bianchi proprio dalla scalinata di un centro commerciale, davanti ad un McDonald. Gesto apparentemente innocente ma provocatorio compiuto da uno studente venticinquenne, Liku Xiaobai. Subito ripreso in diretta da flash e telecamere nonostante l’intervento della polizia. Gli agenti non si sono fatti attendere, non solo per disperdere la folla, ma soprattutto per gettare via i fiori. Qualche tensione tra i poliziotti e un cameraman straniero e quando il giovane manifestante ha osato raccogliere i gelsomini dalla spazzatura. Due le persone arrestate, una colpevole di aver gridato “Ho fame” e l’altra che se l’era presa con la polizia. Presente al momento della protesta anche l’ambasciatore statunitense dimissionario Jon Huntsman Jr., probabile concorrente nel campo democratico di Barack Obama per le elezioni dell’anno prossimo. Huntsman, che ha adottato una bambina cinese e si è mostrato critico verso la Cina per la compressione dei diritti, non ha però rilasciato dichiarazioni. Altre manifestazioni anche a Shangai, dove sono state arrestate tre persone davanti a Starbucks, e a Hong Kong, dove una trentina di persone hanno fatto un sit in davanti all’ufficio di collegamento del governo centrale.
La rigida censura che impera nel Paese ormai usa tecnologie aggiornate e si è quindi abbattuta su internet, mezzo privilegiato per l’opposizione e la mobilitazione. Bloccate infatti parole sospette come “gelsomino” e altre che richiamano alle rivolte in Libia.
Frequenti sono inoltre i monitoraggi sul web, che hanno permesso di scoprire presto le intenzioni dei manifestanti. Sotto la lente soprattutto FaceBook, Twitter, i blog e anche gli scambi di sms. Messa presto in moto la macchina della repressione, con un centinaio di arresti tra i dissidenti. Il Centro informazioni per i Diritti umani e la Democrazia di Hong Kong segnala tra i fermati gli avvocati Teng Biao, Jiang Tianrong, Xu Zhiyong, al momento irreperibili. Non solo, ma per impedire fughe di notizie sulla manifestazione in corso sono state oscurate le telecomunicazioni nell’area per diversi minuti, cosa che ha reso inutilizza in particolare i cellulari. Secondo l’agenzia di stato Xinhua, le forze dell’ordine avrebbero disperso centinaia di persone in alcune manifestazioni non autorizzate, in varie città della Cina.
Frequenti sono inoltre i monitoraggi sul web, che hanno permesso di scoprire presto le intenzioni dei manifestanti. Sotto la lente soprattutto FaceBook, Twitter, i blog e anche gli scambi di sms. Messa presto in moto la macchina della repressione, con un centinaio di arresti tra i dissidenti. Il Centro informazioni per i Diritti umani e la Democrazia di Hong Kong segnala tra i fermati gli avvocati Teng Biao, Jiang Tianrong, Xu Zhiyong, al momento irreperibili. Non solo, ma per impedire fughe di notizie sulla manifestazione in corso sono state oscurate le telecomunicazioni nell’area per diversi minuti, cosa che ha reso inutilizza in particolare i cellulari. Secondo l’agenzia di stato Xinhua, le forze dell’ordine avrebbero disperso centinaia di persone in alcune manifestazioni non autorizzate, in varie città della Cina.
Il messaggio che acceso la timida protesta è apparso prima sul sito cinese boxun.com, per essere poi rilanciato tra siti e blog. Si invitavano i “lavoratori licenziati e le vittime delle espulsioni forzate” alla mobilitazione in diverse città come Pechino, Canton e Shangai. Ma l’appello citava anche ad altri gruppi, come i genitori dei bambini avvelenati dal latte contaminato alla melanina e i seguaci della setta Falun Gong. Tra gli slogan scelti, “Vogliamo la libertà”, “Lunga vita alla democrazie” e “Vogliamo lavoro”. Nata su internet, l’iniziativa fissata per le due del pomeriggio di ieri non ha avuto un seguito oceanico. Ma può essere il primo segno di una mobilitazione generalizzata, tanto che il Partito Comunista non ha intenzione di prendere la questione sottogamba. Anzi, ieri il presidente cinese Hu Jintao ha convocato gli esponenti del partito presso la scuola centrale, per fare il punto. Nel discorso, si chiede non solo di vigilare per “mantenere la stabilità sociale e aumentare i controlli”, ma anche di non ignorare i cambiamenti internazionali e i conflitti sociali interni. Anche se l’economia del gigante cinese batte tutti i record, lo scontro sociale rischia di esplodere per il peso dell’inflazione. Il timore è che si ripeta in Cina un’altra piazza Tienanmen, magari ispirandosi all’effervescente e affollatissima piazza Tahrir al Cairo. Magari riaggiornata ai tempi di internet, considerato che la Cina conta almeno 450 milioni di utenti connessi alla rete.