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Libia, Gheddafi all'assalto di Bengasi. Lega Araba favorevole alla no-fly zone

di Paolo Cappelli

Proteste a Bengasi

Mentre l’attenzione del mondo si è spostata sull’apocalittico dramma del Giappone, colpito dalla sua più grave catastrofe degli ultimi cinquant’anni, la questione libica prosegue anche se in secondo piano nei titoli dei telegiornali e sempre più verso l’interno delle pagine dei quotidiani. Come la brace che continua ad ardere sotto la cenere, la crisi libica è tutt’altro che sopita ed è pronta, se alimentata, a riprendere il suo vigore. Come nel caso di molti conflitti recenti, tuttavia, ci sono alcune considerazioni da fare: in primo luogo, la fine dei combattimenti non significa che la crisi umanitaria sia conclusa. Tutt’altro. Secondariamente, è proprio nel momento in cui cessano i combattimenti che ci si rende conto di quanto un disastro sociale abbia sconvolto un paese e quali siano le conseguenze, ad esempio, in termini di spinta all’emigrazione.

Prima di pensare a tutto questo, però, bisogna riflettere su quanto accaduto negli ultimi giorni a livello politico. Cronologicamente, si sono susseguiti gli incontri dei ministri della difesa della NATO e dei Capi di Stato e di Governo dell’Eurozona, entrambi a Bruxelles. Il primo si è concentrato sull’analisi delle opzioni militari e sulla legittimazione di un eventuale intervento da parte di forze militari della NATO. Tre i concetti sui quali i ministri hanno insistito: l’esigenza unanimemente riconosciuta di un intervento, la legittimazione giuridica a seguito di una specifica risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e l’approvazione da parte delle altre istituzioni regionali, come l’Unione Europea, la Lega Araba, la Conferenza degli Stati Islamici e l’Unione Africana. Non è stata scartata alcuna opzione, ma è stata ribadita la volontà di agire, anche attraverso la (non) semplice creazione di un ponte umanitario. Ciò imporrebbe, naturalmente, la necessità di istituire una no-fly zone nei cieli del paese nordafricano per garantire la sicurezza degli aeromobili impegnati nelle attività, che comprenderebbe anche la neutralizzazione preventiva delle batterie controaree a terra, laddove la ‘neutralizzazione’ si consegue in un modo soltanto, ovvero attraverso bombardamenti mirati. L’ipotesi di un intervento militare occidentale, tuttavia, non è ritenuto l’opzione più saggia. Alcuni paesi mediorientali si sono già spaccati su questa possibilità e per diversi motivi, non ultimi quelli religiosi.

La Nato ha deciso di “incaricare il comando militare di predisporre dei piani operativi per qualunque evenienza” e in particolare “per varie ipotesi di no-fly zone, di intervento navale per garantire il rispetto dell’embargo e soprattutto gli aiuti umanitari”, dice a margine della riunione il Ministro della Difesa Ignazio La Russa. “Non è stata al momento attuata nessuna di queste opzioni, anche perché non c’è stata ancora l’adesione di tutti i paesi componenti della Nato”, ha però aggiunto il ministro. “Tutti hanno riconosciuto che occorre, perché un’opzione venga accolta e realizzata, che vi siano solide basi giuridiche retrostanti, e occorre oltre all’adesione di tutti anche la verifica che la necessità di un intervento sia ineludibile (…). La Nato non interviene mai a cuor leggero, è sempre un’organizzazione difensiva”, ha concluso La Russa, precisando che “tre basi aeree italiane (Grosseto, Trapani e Gioia del Colle, ndr) sono in “massima allerta” a tutela dello spazio aereo nazionale, con 8 caccia costantemente in preallarme. Le unità navali della Marina, invece, si trovano nel sud Italia, pronte ad ogni intervento”.
Di fatto, la situazione in Libia in questo momento è in stallo. Da una parte, il vertice dei Capi di Stato e di Governo si è espresso in maniera chiara. L’Europa – pur pagando non da oggi titubanze e timori ad agire – ha prodotto una dichiarazione finale che sembra un’opera d’arte di equilibrismo e tatticismo diplomatico. Su un concetto sono tutti d’accordo: Gheddafi non è più un interlocutore internazionale con il quale poter discutere di energia o di arresto dei flussi migratori. Dall’altra, il neo costituito Consiglio Nazionale di Transizione, il governo provvisorio istituito a Bengasi dai ribelli, sotto la guida dell’ex ministro della Giustizia di Gheddafi Mustafa Abdel Jalil, ha appena ricevuto un riconoscimento formale, ma non controlla il paese. La controffensiva delle forze leali al Colonnello, le quali, dopo aver bombardato dei serbatoi di stoccaggio di greggio nella raffineria petrolifera di Es Sider, vicino a Ras Lanuf, nell’Est della Libia, hanno costretto i ribelli a cedere terreno. La strategia della campagna condotta dalle forze lealiste è chiara: bombardare, costringere i ribelli all’arretramento e contemporaneamente avanzare con le unità corazzate contro le quali questi ultimi hanno scarsa efficacia, essendo armati prevalentemente con armi leggere. La tv di stato libica ha annunciato oggi che la città di Brega, nell’est della Libia, è stata “ripulita dagli insorti”. La città si trova a meno di 250 chilometri da Bengasi, roccaforte del movimento 17 febbraio e del Consiglio Nazionale di Transizione (Cnt).

A questo punto non è facile prevedere come possa evolvere la situazione. Nelle parole del Presidente del Consiglio Berlusconi, Gheddafi sarebbe, ad oggi, ancora convinto di poter rimanere al potere, ma ormai manca di legittimazione. E’ stato lo stesso colonnello a dire che lui non è stato eletto, e quindi non può dimettersi. Nel predisporre un futuro intervento, quindi, sia la NATO che l’UE non potranno evitare il coinvolgimento, peraltro auspicato, degli attori regionali sopra citati. Proprio per questo il presidente francese Sarkozy – che si è dichiarato contrario alla possibilità di un buen retiro per il dittatore libico – ha chiesto di organizzare a breve un incontro tra l’UE e l’Unione Africana.

Allo stato attuale il centro petrolifero di Ras Lanuf e Brega sono ritornati nelle mani dell’esercito di Gheddafi, che ora sta cercando di riaconquistare anche Bengasi, roccaforte dei ribelli. Il timore di un recupero decisivo del dittatore pare abbia spinto la Lega Araba, dopo essersi riunita al Cairo, ad esprimere parere favorevole ad una trattativa con il Consiglio nazionale di Bengasi e soprattutto all’istituzione  di una “no fly zone” sulla Libia, anche perché ormai le violenze contro la popolazione civile stanno diventando insostenibili, ultima la grave perdita di un giornalista di Al Jazeera, proprio in una zona vicino a Bengasi.

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