di Marco Milano
In termini tecnici è la ‘spettroscopia protonica con risonanza magnetica’, più comunemente un sistema di diagnostica per immagini, utilizzata recentemente in modo inedito: individuare l’Alzheimer ancor prima che se ne manifestino i sintomi. Ricercatori statunitensi della Mayo Clinic hanno testato questa tecnica su una campione di 311 soggetti anziani, di età compresa tra i 70 e 80 anni e senza problemi di carattere cognitivo, alla ricerca di eventuali anomalie che possono precedere lo sviluppo della malattia. I risultati della ricerca, pubblicati su Lancet Neurology sono stati ottenuti, nello specifico, investigando le eventuali deposizioni di beta-amiloide, il costituente primo delle placche da cui parte il processo degenerativo del cervello.
Non era possibile, finora, diagnosticare la deposizione di amiloide in vivo – bisognava, infatti, necessariamente passare per la biopsia del cervello o l’imaging PET. Test sulla memoria, linguaggio e altre funzioni hanno completato l’indagine e i primi risultati indicano che le scansioni di imaging negative all’amiloide possono segnalare, con un alto livello di precisione, l’assenza di Alzheimer. In circa il 33% dei soggetti analizzati si sono riscontrati alti livelli di depositi di beta-amiloide, oltre ad altri metaboliti come la colina/creatina. Sono stati questi i casi in cui si sono registrati anche i punteggi più bassi sui test cognitivi indipendenti dall’incriminata beta-amiloide. Secondo i ricercatori, la comparsa dell’Alzheimer è associato a radicali cambiamenti nel cervello che possono iniziare molti anni prima della comparsa dei sintomi oggi conosciuti e questo nuovo tipo di indagine potrebbe fornire un supporto fondamentale per mettere a punto nuovi trattamenti finalizzati alla prevenzione della perdita di memoria e del declino tipico dell’Alzheimer. Kejal Kantarci della Mayo Clinic di Rochester ha così spiegato l’importanza di questa ricerca: “Questa relazione fra i depositi di beta-amiloide e i cambiamenti metabolici nel cervello rappresenta l’evidenza del fatto che alcune di queste persone si trovano allo stadio iniziale della malattia. Serve comunque un’ulteriore ricerca che segua i pazienti negli anni per precisare quali di loro svilupperanno l’Alzheimer e qual è l’esatta relazione fra depositi amiloidi e metabolici”.
La diffusione dei traccianti dell’amiloide utilizzati nella diagnostica ad immagini dovrebbe consentire studi diffusi su larga scala, utili a chiarire la loro potenzialità diagnostica in relazione all’età, ai fattori di rischio e a tutti i sottotipi dell’Alzheimer.
Prevenzione diventa una parola di enorme speranza, per una malattia che non conosce ancora una cura definitiva.