HomeTeatroAndrea Bizzarri con "Viva la guerra!" in scena la Teatro dell'Orologio

Andrea Bizzarri con "Viva la guerra!" in scena la Teatro dell'Orologio

di Marina Capasso
IMG_7733Fino al 7 dicembre, nella Sala Gassman del Teatro dell’Orologio di Roma, andrà in scena lo spettacolo VIVA LA GUERRA! del regista Andrea Bizzarri, che vede protagonisti Alida Sacoor, Roberto Bagagli, Guido Goitre, Davide Maria Marucci e Matteo Montaperto. Il tema della guerra viene trattato con leggerezza e rivisitato attraverso gli occhi di giovani ed inesperti ragazzi che, per inseguire i propri ideali, si trovano coinvolti in una serie di eventi concatenati che li metteranno alla prova. Un modo per comprendere, al di là dei fatti, al di là della storia, i punti di vista personali ed emotivi di chi quel passato l’ha vissuto sulla propria pelle. Per l’occasione Andrea Bizzarri ci ha raccontato il suo di punto di vista in merito.
Da cosa deriva la scelta di una tematica così  dura, ma anche così spesso affrontata?
«L’aneddotica è una genere che mi ha sempre affascinato. Se poi se ne parla in riferimento agli anni quaranta del secolo scorso, allora il fascino raddoppia. Il mio testo nasce da alcune lettere. Le lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana potrebbero rientrare nell’aneddotica, ma non basta; c’è un’umanità tangibile, in quelle lettere. C’è quel mondo brulicante e impetuoso che sta sotto la corteccia di ogni individuo, donna o uomo. Leggere di giovanissimi che confessavano ai propri cari, nelle poche ore precedenti alla fucilazione, di “morire tranquilli” perché il proprio ideale avrebbe camminato sulle gambe delle prossime generazioni, è qualcosa che ti tocca irrimediabilmente l’anima, un punto di non ritorno. Appunto, di non ritorno, dal quale è possibile solo andare avanti. E allora mi sono chiesto: ma se fosse successo a me? Se di fronte al pericolo di morte per me e per  i miei familiari mi avessero chiesto di tradire un ideale, avendo in cambio salva la vita di tutti? Avrei confessato? Avrei tradito? Oltre agli eroi, ai nomi altisonanti che ricordiamo nei manuali, esistono anche gli antieroi, gente comune, a cui interessa soltanto vivere? Questo è stato il punto di partenza della scrittura di Viva la guerra!».
IMG_7712Quale è il punto di vista inedito che porti al suo interno?
«Non è, e non vuole essere, un’esaltazione del partigianato né un tentativo revisionista.  È una vicenda lineare, quotidiana; i caratteri non ricalcano personaggi realmente esistiti, non è la trasposizione di una biografia. L’originalità sta, a mio avviso, proprio nella semplicità. Si tratta di un vissuto fatto di piccole cose, dagli alimenti comprati alla borsa nera, ai baci fugaci, ai sogni, troppo grandi per essere realizzati. E quando questo vissuto va a scontrarsi con la Storia, quella maiuscola, c’è bisogno di chiedersi quali possano essere le reazioni dei protagonisti, alle prese con qualcosa di insormontabile, fino ad allora ritenuto davvero molto lontano. L’eroe si sa, l’affronta. Ma l’antieroe, l’uomo comune? Cosa fa?».
Cosa pensi possa renderla attuale?
«È un’opera che non ha colore politico. Quando si parla di Resistenza, si parla inevitabilmente di totalitarismi. In Viva la guerra!, le ideologie sono tutte quante messe in discussione. C’è promiscuità totale, non esistono buoni o cattivi; il fascista è alla stessa stregua del comunista o del socialista o del cattolico: tutti credono in qualcosa, ci credono sinceramente, genuinamente. E questo basta per eliminare qualsiasi distanza. C’è chi crede all’Italia trionfante e alle qualità superomistiche del Duce, chi abbraccia falsamente la causa comunista, prima di scoprire ingenuamente l’amore, chi, ancora più semplicemente, pensa che “o fascisti o tedeschi, quando uno ammazza, sempre schifo me fa”. Questo rende, a mio avviso, l’opera attuale: la promiscuità che travalica i confini del contesto storico, di cui rimane, comunque, una fedele riproduzione».IMG_7689
Ciò che muove i giovani protagonisti della tua opera è seguire degli ideali politici. Come pensi che i giovani vivano questi ideali giorni nostri?
«Credo che sia troppo facile, ma in parte vero, dire che i giovani non si interessino più alla politica; così come credo che sia altrettanto facile, ma in parte vero, che è la politica a non interessarsi dei giovani. Non spetta a noi dare giudizi incontrovertibili sul momento storico che viviamo, proprio perché ne siamo parte integrante. Fra un secolo, o forse più, qualcuno comincerà a vedere la situazione con maggiore oggettività.   Credo che ora ci sia un problema di linguaggio, come in tutte le fasi evolutive. Il ’68 è vecchiaia, ormai. “Compagni, guadagniamo la testa del corteo”, è un alto esempio di antiquariato, perché non esistono più quei cortei. L’insoddisfazione si manifesta in altri luoghi e attraverso altri linguaggi; oggi i comizi li fanno i rapper, le loro canzoni arrivano dirette, senza affettazioni, ed esprimono disagi veri, reali, tangibili. Bisognerebbe, credo, prenderne atto; la cultura non è aulicismo, è semplicità. Ciò che noi oggi consideriamo come massima espressione dell’aulico, l’Opera, è nata con scopi completamente opposti. Le ideologie degli anni Sessanta, oggi, non esistono più, perché non esiste più il linguaggio su cui queste camminavano. Chi ascolterebbe mai, per intero, un comizio di Berlinguer? Neanche i più convinti neocomunisti. Proviamo a farlo rap: Berlinguer vivrebbe per una seconda volta».
IMG_7635Dacci una tua motivazione per venire a vedere lo spettacolo.  
«Credo molto alla leggerezza. Che non è sinonimo di banalità. Il nostro spettacolo parla di leggerezza, parla di aspirazioni, di sogni, di gioventù; e lo fa con un linguaggio semplice, diretto, con ironia e sarcasmo, strappando allo spettatore più di una risata. È una buona occasione per rivivere la Roma di quell’epoca, e per riflettere su sentimenti tanto eterni quanto spontanei, come l’amore e l’amicizia. Uno spettacolo che, sicuramente, non lascerà impassibili».
Foto di Manuela Giusto
 

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