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Trasloco. Notte prima degli esami

di Lidia Monda
Il trasloco è un’altalena tra passato e futuro. Picchi in alto ai due estremi. Picco in basso al centro, nel malinconico, isterico, ondivago presente. Epperò poi quando arriva il gran giorno e ti impacchettano la vita, ti accorgi che la tua vita non è fatta di cose, che anzi ingombrano e appesantiscono. È un’operazione trascendente. Pura psicanalisi. ph by profperboni.blogspot.it
A Napoli il trasloco ha una data precisa: il 4 di maggio, tanto che riferirsi a ‘nu quatte ‘ e maggio’ equivale non solo a una moltitudine di cose, oggetti, o scatole e scatoloni, ma anche a una baraonda disordinata, al cambiar casa. In senso traslato a un grande cambiamento confusionario, finanche nei sentimenti.
Per l’esattezza anche la data prestabilita è stata oggetto di tanti traslochi. In epoca romana i trasferimenti erano regolamentati per evitare che le città fossero ancor più intasate dal continuo andirivieni. La data stabilita era il 10 agosto, ma fu solo alla fine del 1600, all’epoca dei viceré spagnoli, che si accolsero le istanze dei facchini costretti a lavorare nonostante il caldo impossibile, passando così al 1° maggio. Anche in questo caso però la data però presentava delle difficoltà. Cadeva, infatti, con i festeggiamenti dei Santi Filippo e Giacomo cui i napoletani erano particolarmente devoti, organizzando feste e libagioni che si protraevano fino al giorno dopo, sicché il precetto vicereale andava puntualmente disatteso. Fu solo nel 1611 che il viceré Pedro Fernando de Castro impose la nuova data del 4 di maggio, in concomitanza con la scadenza dei canoni di locazioni che anticamente venivano corrisposti in tre rate l’anno, le cosiddette ‘terzie’. Ecco dunque che il 4 di maggio era un giorno di gran confusione in cui chi viveva in affitto raccoglieva sui carretti masserizie e familiari e traghettava le loro vite in altre case, in altre scenografie.carretto-trasloco
Oggi il trasloco è la terza causa di stress dopo lutto e licenziamento, nemmeno la separazione può tanto. Ed è comprensibile: nella futuristica società regolata dalla rete e dai social la vera legge è quella della giungla, la nostra più che una casa è una tana, e il doverla cambiare ci fa sentire scoperti e indifesi.
Il trasloco corre parallelo alla quotidianità. C’è la tua vita – lavoro, figli, scuola, spesa – e poi c’è anche il trasloco, che risucchia più energie a pensarlo che non a farlo. E d’un tratto la doccia che perde o il forno che non si chiude sembrano delle irrinunciabili imperfezioni che ci restituiscono il senso dell’identità, di ciò che è caro e familiare. E mentre osservi il mondo da questa prospettiva, ecco che sulla battigia della quotidianità s’infrange una nuova ondata di sentimenti, in cui pensi che la casa nuova di zecca comporta una vita nuova di zecca, e il preoccupante risultato è diventare intolleranti verso ogni piccolo difetto, ogni cedimento al reale, in una scala ascendente di perfettibilità.
E poi arriva la notte prima dell’esame. La più triste. E tutto è ‘vita precedente’. L’eco che si rincorre tra le stanze piene di scatoloni ti ricorda che hai un’esistenza imballata, fra due dimensioni per giunta. L’ultima notte del soffitto. Gira il filmino in superotto della tua vita, ci aggiungi l’effetto Instagram a sottolineare che sì, ormai è trascorso e non tornerà.
L’alba arriva sulla nuova vita. Sei pronta. Sei quasi pronta. Ancora un pochino, ancora qualche giorno, anche se non c’è più la cucina, al massimo si mangerà in pizzeria, chissenefrega. E invece senti il campanello che suona l’ineluttabilità dell’ora, come a scuola. E quasi ti aspetti che i traslocatori muniti di falce e mantello nero siano lì per farti secca. Di certo fanno secca la vita precedente, quella con la doccia e il forno sgangherati.  trasloco by bastabollette.it
Iniziano le manovre. Operosi come le api, i facchini hanno metodo e ritmo e sono inarrestabili. Occorre accettarlo.
E poi avviene un fatto strano. Proprio mentre si galleggia nel mondo dei morti e si pensa che ormai manchi poco per vedere la luce, ci si trova, guarda un po’, al cospetto di Iside che attende, col bilancino e una piuma. Per gli egizi era il momento della  verità, e solo i meritevoli, la cui anima era più leggera della piuma, accedevano all’aldilà. E mentre Iside è presa e compresa nelle sue operazioni di contabilità affettiva, la cosa migliore che possa capitare è scoprirsi leggeri, leggeri… leggeri come una piuma. Le cose son cose, si lasciano andare, e non è poi questo gran danno. Bisogna badare a tenersi stretti i sentimenti e gli strumenti per poterli coltivare.
Così, ritornando nell’al di qua, si può persino arrivare a pensare che il trasloco sia, alla fine, un’esperienza salvifica, e che, per quanto snervante, dovrebbe esser condotta con una certa regolarità. Il lasciar andare, cose, ricordi, il jeans di due taglie più piccolo che non s’indosserà mai più, fa spazio prima che al nuovo, al vuoto, e nel vuoto c’è assenza di giudizio, attesa e un pizzico di curiosità. Si dovrebbe traslocare di continuo, anzi. Da uno stato d’animo all’altro, da una dimensione all’altra. Anche se il primo pensiero a riguardo è ‘no, per carità’.
Perché l’esser troppo sedentari rischia di ottundere la mente, come i troppi carboidrati. Appaciano l’anima ma non rendono leggeri, e la impantanano in una fugace soddisfazione.

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