Londra, 26 febbraio 1854
Caro Mazzini,
ho letto con molt’attenzione la vostra del 22, ed ecco ciò che vi rispondo: o possiamo fare da noi, rovesciando stranieri e domestici ostacoli; oppure dobbiamo appoggiarci ad un governo da cui possiamo sperare l’unità italiana solamente. Io non credo nel primo concetto, e molte sono le ragioni che me ne convincono: pochi mezzi, le masse che ponno fare una rivoluzione, non servono alla formazione d’un esercito per sostenerla, non avendo con noi massime i contadini; quindi sono certo che qualunque motto nostro proprio ad altro non servirebbe, che a fare delle vittime, screditando ed allontanando l’opera di redenzione. Appoggiarci al governo piemontese, è un po’ duro io lo capisco, malo credo il miglior partito, ed amalgamare a quel centro tutti i differenti colori, che ci dividono; comunque avvenga, a qualunque costo. Rannodare i brani al maggior pezzo di tronco. Nello stato in cui si trova l’Italia, non si può essere né apparire indipendenti: credete voi, ch’io tacendo, possa persuadere alcuno d’aver abbandonato (a causa patria non manifestandomi con loro, essi mi terranno nemico, non ne dubitate, quindi, io sono disposto d’unirmi a loro, e francamente, a’ piemontesi; persuadetemi voi d’una migliore scelta, ed io vi seguito. Io voglio essere italiano, avanti tutto; ed il Piemonte non dubita, ch’io lo combatterò colla mia pochezza, quand’egli cessi d’esser italiano. Circa alle questioni Europee del giorno mi sembrano tali da non precipitare, ma prepararsi: tra i contendenti non vedo amici che meritano la cooperazione nostra di sangue. Gl’inglesi unici che ponno tollerare una nazione italiana, ed appoggiarci, quando loro convenga, sono del mio parere, e voi lo sapete. Voi dite: “Se un governo sorgesse a dirci: io vi dò l’unità della patria” Io seconderei le sue mosse con tutta la mia influenza; ma quel governo non vi crede e diffida di voi, quanto dell’Austria, e più, quel governo dovrà mostrarsi nemico vostro, anche quando marciereste d’accordo, per non svegliare i sospetti de’ potenti nemici vicini; egli non può palesare, né di marciar d’accordo co’ repubblicani, né le sue tendenze al regno d’Italia; perché vi creda, vi vuole una manifestazione segreta ma franca che più ora che mai, verrà accetta, per paura del muratismo, manifestazione, che non più come per il passato dica: “Fate, poi vi rovescieremo”. Questo non può essere, ed in questo secolo mercantile, ove tutto va al tanto per cento, il Piemonte non combatterà gli stranieri in Italia che per dominarla, ma che, se l’elemento piemontese s’adopera a cacciar lo straniero, possa contare francamente con noi, non esigenti d’altro che dell’indipendenza della penisola, sotto qualunque forma di governo. Aggiungo di più che se dovessi dar la mia opinione, io direi, che mentre non sia l’Italia affatto sgombra da dominatori stranieri, non si deve parlar di costituzione, di camere, di ciarle in sostanza, ma debba, come facevano i nostri padri quando uomini, ed in pericolo, marciar guidata da uno solo, col fascio da una parte, e la mannaja dall’altra (quest’idea mia non vi è nuova). Non credo difficile, intendendoci con quel governo, che ci lasci a noi l’iniziativa nel sud ed allora non solamente quell’importante impresa si eseguisce sicura, masi sostiene, si rafferma e si propaga sul continente colla celerità elettrica, marciando noi colla coscienza d’esser forti. Io sono certo, che potendo il Piemonte contar con noi, abbandonerebbe la meschina e paurosa politica in cui si ravvolge, ed in luogo di bandire tanti giovani, ch’io considero la maggior parte perduti per l’Italia, se ne gioverebbe, aumenterebbe di credito, e procederebbe allo scopo, più celere, e più apertamente. Se poi ingannasse, noi allora avressimo ragione di contarlo tra i nostri nemici il peggiore, combatterlo coll’approvazione universale, e sommuovere le nostre provincie all’insurrezione. Che vi dirò poi, che non sappiate, e più di me capace ad apprezzare. Io, dunque, aggiungerò soltanto che non temo di perdermi, che seguo in tutto questo l’impulso della mia coscienza d’italiano, che circa ad impieghi, o vantaggi individuali, mi giudicherà l’avvenire. Se poi, mi avviene di menomarmi nella stima di coloro, che vorrebbero anticipare un giudizio sulla mia condotta, io non li temo, non temendo altro, che i rimproveri dell’anima mia, tutta d’una causa, per cui non temo sacrifizi. Circa all’operazione dell’isola, importantissima, io credo si debba aggiornare almeno, sino a vedere i nostri antagonisti impegnati preparandola, e prepararsi frattanto ad impegnarsi degnamente, ciò che non conseguiremo se non c’intendiamo. Io avvicinerò l’Italia, e vedrò coloro che non dimenticarono la causa patria; osserverò gl’individui, i mezzi, e la volontà. V’informerò del poco che possa raccogliere, e procederemo in conseguenza: ma per tutto questo, bisogna ch’io possa dire: “Mazzini è con noi, egli riconosce impossibile, poter riunir l’Italia sotto il sistema repubblicano, ed è disposto a cooperare, per riunirla sotto il sistema monarchico piemontese”. Mi direte se va; procedendo diversamente credo che faremo un danno, in questi momenti solenni. Comunque poi vada bramo sempre rimanervi fratello. Vostro.
Giuseppe Garibaldi
(Minuta della lettera di Garibaldi a Mazzini, in Garibaldi vivo, a c. di A. A. Mola, Mazzotta, Milano 1982)